C’è stato un periodo in cui Pablo Armero era considerato uno dei migliori terzini del calcio europeo. Portato in Europa a 23 anni grazie alla solita intuizione della famiglia Pozzo, il colombiano si fece subito notare per la facilità di corsa e lo strapotere fisico. Dopo tre anni il passaggio al Napoli e l’inizio del declino, complici i problemi extra calcistici. Pablo Armero ha raccontato la sua vita sempre al limite ai microfoni del quotidiano spagnolo Marca.
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In Brasile lo chiamavano il Roberto Carlos nero, come lui stesso ha raccontato, ma le aspettative createsi intorno a lui sono state disattese nel corso della sua carriera. Una vita piena di eccessi, quella di Pablo Armero, che dopo due anni al Palmeiras venne portato in Italia dalla famiglia Pozzo: “All’Udinese ho avuto la fortuna di aver avuto un’ottima stagione. Sono stato in grado di adattarmi rapidamente e questo mi ha permesso di condividere il campo con i grandi giocatori di Serie A di quel tempo“. Sembrava l’inizio di una carriera straripante come le sue discese sulla fascia sinistra, ma il salto al Napoli si rivelò un mezzo fallimento. Da lì i prestiti al West Ham, al Milan, al Flamengo, il ritorno all’Udinese e un lungo girovagare in Sudamerica senza mai ritrovare lo spunto e la continuità di rendimento dei giorni migliori. In mezzo, tanti, troppi problemi fuori dal campo.
L’arresto negli Usa
Era il 2016 quando Armero finì in manette per presunte violenze contro la moglie. La donna successivamente smentì i maltrattamenti, ma in tribunale il colombiano ci finì ugualmente: “Grazie a Dio, la mia famiglia e tutte le persone che mi conoscono sanno che tipo di persona sono”, racconta a Marca. “Tutto alla fine è tornato alla normalità, perché tutto quello che hanno detto su di me non era vero. Ma questa è la vita, bisogna sempre pensare positivo. Sono un uomo di fede e tutti sanno che non sono come mi hanno provato a dipingere“.
Il fermo in Colombia per guida in stato di ebrezza
Una volta Armero venne fermato in patria per un test alcolemico. La sua reazione non fu molto pacata: “Era un normale controllo, perché dovevano registrarmi? Ho detto loro di farmi il test e non me l’hanno fatto, poi però hanno detto che sono scappato. Un poliziotto ha tutto il diritto di fermarmi per un controllo, però non ci sarebbero dovute essere così tante persone a registrarmi. Quando mi fermarono sulla strada per Pance, quella era una strada a senso unico, così gli dissi di fare il test più tardi, alla stazione di polizia. L’ho fatto solo per evitare incidenti. Non capisco proprio perché abbiano dovuto registrarmi. Sono sempre stato disposto a collaborare, ma ho visto l’intenzione che il test venisse pubblicato in video ed essere così visto ovunque, e questo non mi ha dato fiducia“.
La vita di Pablo Armero: “Rischiai di morire per Zuniga”
Altro aneddoto raccontato da Armero riguarda il suo sonnambulismo, motivo per il quale una volta rischiò addirittura di morire. Per “colpa” del connazionale Zuniga: “Sono sonnambulo, faccio dei sogni molto reali. Una volta mi sono alzato e ho visto una persona entrare dalla finestra. L’ho sentito entrare e prendere il portafoglio di Camilo, quindi ho iniziato a urlare. Mentre sono uscito, ho visto che la persona stava per saltare dal balcone e sono andato dietro di lui. Se non fosse stato per il fatto che dormo nudo e che era inverno, mi sarei ammazzato“.