E’ il 16 maggio di un pomeriggio inoltrato inglese, siamo a Liverpool.
Ad Anfield si gioca Liverpool – Crystal Palace, il campionato ormai lo ha vinto il Chelsea, la partita non ha praticamente alcun senso per la classifica.
Però entrerà di diritto nella storia di questo sport. Sì perché questa, è stata l’ultima partita a casa sua di Steven Gerrard. A nessuno interesserà sapere com’è andata, chi ha vinto, chi ha segnato. L’unica cosa che conta è che noi, amanti di questo sport, non vedremo più la bandiera di questa squadra difendere i suoi colori.
E’ stato un addio nel suo stile. Pacato, nonostante un’entrata trionfale, con le due squadre ad aspettarlo all’ingresso in campo e il capitano accompagnato dalle sue tre bellissime bambine.
E’ sembrato quasi in difficoltà, non gli è mai piaciuto stare sotto i riflettori, lo si è notato anche in questa circostanza. Sembrava volesse far terminare il prima possibile quella celebrazione, per far incominciare la partita, l’unico suo interesse. E’ stato salutato, come una leggenda deve essere salutata.
Facciamo qualche passo indietro.
Venerdì trenta maggio 1980, a Whiston, una città che si trova nella periferia inglese del Merseyside, a tredici chilometri da Liverpool, nasce Steven Gerrard. Cresce in una famiglia tifosa del Liverpool, la sua carriera nei reds inizia all’età di sette anni.
Era un semplice bambino, che aveva la fortuna di giocare per la squadra del suo cuore. Poi il destino un bel giorno ha tirato i dadi, e gli dei del calcio hanno deciso che lui sarebbe diventato la bandiera dei Reds.
Quello che è stato, Steven lo è diventato nel tempo.
Tutto è iniziato in un pomeriggio della primavera del 1989. E’ il 15 aprile, ad Hillsborough si gioca la semifinale di FA Cup tra Liverpool e Nottingham Forest. Steven ha nove anni e vorrebbe tanto andare a vederla quella partita. Non può andarci, oltre alla delusione anche la beffa, suo cugino, Jon-Paul Gilhooley ha ricevuto il biglietto per la partita.
Nessuno dei due sa cosa succederà quel pomeriggio maledetto. La tragedia che cambierà per sempre il calcio inglese. La Leppings Lane diventa una tomba a cielo aperto, novantasei le persone che moriranno schiacciate. Tra queste c’è anche il cuginetto di Steven.
Non puoi diventare Steven Gerrard se non hai vissuto una tragedia del genere.
L’esordio con i suoi colori del cuore tra i professionisti arriva nel 1998, contro il Blackburn. Nel 2001 i primi trofei importanti, in quell’anno il Liverpool ottiene un treble di tutto prestigio. Aggiudicandosi, la FA Cup, la coppa di lega e la coppa Uefa. Il 2003 è una tappa fondamentale per la costruzione di quello che sarà Steven Gerrard, rileva la fascia di capitano da Hyypià. Decisione fortemente voluta dal suo allenatore Houllier, il quale afferma che il ragazzo sin da giovane, ha dimostrato caratteristiche da vero leader.
La storia gli darà ragione.
Il 2005 è l’anno della svolta, l’anno dell’affermazione, della consacrazione da leader. 25 maggio, stadio Ataturk di Istanbul. Finale di Champions League. I reds si scontrano contro i rossoneri del Milan. Dopo quaratacinque minuti sembra che sia già tutto finito. Tre a zero secco del Milan. Con gol di Maldini e doppietta di Crespo. Il Liverpool non è sceso in campo nel primo tempo. Giocatori, dirigenti, tifosi milanisti sono ormai convinti di averla vinta. E chi non lo sarebbe?
Però, il pallone è rotondo. E infatti al sessantesimo minuto il risultato e’ di tre a tre. I reds hanno fatto il miracolo. Tutto come prima, in soli sei minuti. La rimonta non poteva che iniziare da lui, è Gerrard a segnare il tre a uno, con un colpo di testa. Raccoglie la palla e incita compagni e tifosi. Tre a due di Smicer. E poi sempre lui, si procura il rigore. Xabi Alonso lo tira, tre a tre. Il Milan ricomincia a giocare, ma ormai è tardi. Ma manca mezz’ora? Fa niente, ormai la partita è nella mani di quelli con la maglietta rossa. Il destino decide di prolungare l’agonia dei milanisti fino ai calci di rigore. Vince il Liverpool. Ora il ragazzo che tifava Liverpool, è finalmente diventato Steven Gerrard. Dopo la finale dichiarerà ”Come posso lasciare Liverpool dopo una notte come questa?”
Il calcio però è spietato. Ha il brutto vizio di venire a riprendersi tutto quello che ti ha dato.
Con lui però è stato particolarmente stronzo. (Concedetemi il termine)
La stagione è quella dell’anno scorso, 2013/2014. In panchina c’è Brendan Rodgers, che ha portato il Liverpool a giocare un calcio bellissimo, condensandolo con il primato in classifica. Quando ormai sembra che la Premier League possa tornare ad Anfield, a distanza di ventiquattro anni, succede l’impensabile. L’avversario è il Chelsea di Mourinho, si gioca ad in casa dei reds, i Blues ormai sono tagliati fuori dalla corsa scudetto. Il finale sembra già scritto, invece.
Invece, il tempo regolamentare del primo tempo è scaduto, l’arbitro ha dato tre minuti di recupero, mancano solo trenta secondi. Steven arretra sulla linea dei difenorsi per farsi dare palla e iniziare l’azione, la riceve, controlla male e scivola. Demba Ba è in agguato e parte verso la porta. Gol. Uno a zero Chelsea. Il capitano raccoglie il pallone dalla rete e lo porta a centrocampo. Finirà due a zero per la squadra di Mourinho. Finirà il sogno di una vita. Così, nella peggior maniera possibile. Per colpa di un suo errore. Steven ha pianto, insieme a lui ha pianto tutto Anfield. Ma anche in quell’occasione, si è comportato da capitano, da bandiera.
Perché, come ci ricorda Paolo Maldini, “una bandiera si vede quando il vento soffia forte.”
Non è stato né un fenomeno, né tanto meno un fuoriclasse, non era uno di quelli che attirano l’attenzione dei tifosi durante la partita. Nasce come centrocampista, ma si evolverà in una dimensione maggiore.
Ci sono centrocampisti che si occupano della fase difensiva, centrocampisti che hanno il ruolo esclusivo di impostare il gioco, centrocampisti bravi nell’inserimento e nella conclusione a rete e centrocampisti che si occupano di fornire assist ai propri attaccanti.
Gerrard è stato in grado di essere tutto questo. Nella stessa azione potevi vedere una sua scivolata per recuperare palla e poi trovarlo qualche secondo dopo in area avversaria a concludere l’azione.
Buone capacità di interdizione, niente male come regista, fantastico nelle conclusioni dalla distanza, bravo ad inserirsi ogni volta che ne aveva l’occasione. Capace anche di segnare da calcio da fermo. Sia su punizione che su rigore.
Ha avuto un talento raro, qualsiasi cosa faceva, non la sapeva fare male. E poi ci metteva il cuore, sempre e comunque.
Un esempio dentro e fuori dal campo. Un padre di famiglia, un capitano, una bandiera.
Mai sopra le righe, anche l’annuncio del suo addio al Liverpool è passato lontano dai riflettori.
“E’ la decisione più difficile della mia vita. Lascio la Premier League, non giocherò per un club concorrente, non sfiderò il Liverpool, una cosa che non avrei potuto contemplare. Voglio sperimentare qualcosa di diverso nella mia carriera.”
Giocherà in America, per i Los Angeles Galaxy, questo però ci interessa poco o nulla.
Allora giochiamo un po’, prendiamo quel numero otto e giriamolo. Facendolo diventare il simbolo dell’infinito, quello è stato Steven in mezzo al campo.
Infinito e maestoso.
“Quando staranno per terminare i miei giorni, non portatemi in ospedale, ma ad Anfield. Qui sono nato e qui voglio morire.”
God save the Captain.