Ha giocato in uno dei Milan più forti di sempre, pupillo di Ancelotti che ha sempre omaggiato le sue qualità umane e professionali. Cristian Brocchi era uno di quei giocatori amatissimo dai tifosi, perché dava tutto in campo e la sua maglia era sempre la più sudata. Intervistato dalla nostra redazione, l'ex centrocampista ha ricordato le tappe della sua carriera e ha rivelato com'è nata la sua grande amicizia con Christian Vieri.
Ciao Cristian, partiamo dagli albori della tua carriera da calciatore. Esordisci in Serie A con la maglia dell’Hellas Verona. Che ricordi hai di quell’esperienza?
Ho un ricordo bellissimo perché per me ha rappresentato il salto nel vero calcio dopo aver fatto anni di gavetta nelle serie minori. Di Verona ho un ricordo meraviglioso: ci sono tante piazze in Italia belle, però per me è stata la prima vera grande tifoseria da 20-30mila spettatori. Il fatto di entrare nelle simpatie dei tifosi mi ha esaltato permettendomi di fare bene fin da subito.
In quel Verona giocava Vincenzo Italiano. Ti aspettavi che avrebbe allenato? Pensi che sia pronto al salto in una big?
All'epoca eravamo troppo giovani, queste cose le percepisci a fine carriera. Vincenzo sta facendo molto bene dopo tanta gavetta. Io dico sempre che un allenatore per fare il salto in avanti deve aver passato dei momenti difficili, fatico a giudicare allenatori che hanno vissuto solo situazioni belle. Lui ha dimostrato di essere bravo e forte perché è uscito da situazioni complicate, come i primi tempi a La Spezia. Quindi dico che è assolutamente pronto per una big.
Stagione 2000-2001 passi all’Inter, quella che successivamente definisti “la peggiore stagione della tua carriera”. Cosa non ha funzionato?
Trovo difficile parlare di quella stagione, anche perché ero molto giovane. La definì la peggiore stagione della mia carriera dal punto di vista tecnico ed emotivo. Venivo da un bel campionato con l'Hellas che mi permise di arrivare all'Inter. Mio papà è tifoso nerazzurro ed ero andato spesso in curva Nord da bambino, anche se poi dai 9 anni, entrando nelle giovanili rossonere, mi sono legato molto al Milan. Però, per un milanese, giocare nell'Inter rappresenta un sogno che si realizza. Tuttavia dopo un mese di ritiro mi scoppiarono due ernie al disco che mi costrinsero a operarmi. I medici, prima dell'intervento, mi dissero che rischiavo di non poter più giocare a calcio.
Quando rientrai avevo perso tante qualità tecniche, come la capacità di calciare con entrambi i piedi. Grazie alla mia forte personalità sono riuscito a reinventarmi come giocatore di quantità e di agonismo ma non ero più quello di prima. Al mio ritorno in campo era ormai praticamente Natale ma continuai ad avere altri infortuni muscolari che non mi permisero mai di recuperare. Quindi dopo una stagione difficile per l'Inter, una mattina trovai sul mio armadietto negli spogliatoi il nome di Guly. Lo scambio era stato fatto col Milan nella notte e io ci rimasi male più che altro per le modalità con cui avvenne. La reputai la peggiore stagione della mia carriera ma non per l'Inter né per i tifosi, tutte le mie esternazioni erano rivolte alla società. Quelle parole mi hanno causato fischi e insulti dai tifosi nerazzurri e questo mi dispiace perché ho sempre avuto grande rispetto per l'Inter e ho tanti amici interisti.
All'Inter però hai conosciuto Vieri a cui sei rimasto molto legato. Com’è Bobo nel privato? Ci racconti un aneddoto simpatico?
Dovete sapere che caratterialmente sono una persona corretta, che non la mette mai a quel posto e per questo motivo ho creato tanti bei rapporti nel calcio. Bobo è un fratello, è la persona che so di poter chiamare quando ne ho bisogno e viceversa lui sa che può contare su di me. Si dicono cose non vere sul suo conto ma è una persona meravigliosa con valori importanti. La cosa che più ci accomuna è che entrambi non riusciamo più a voler bene alle persone che ci hanno tradito. Io e lui avemmo una discussione per colpa di terze persone ma poi ci siamo chiariti. È la persona di cui più mi fido nel mondo del calcio.
Aneddoto divertente? Quando arrivai alla Pinetina tutte le camere erano occupate e mi diedero una stanza col bagno in comune nella parte esterna del centro. Allora chiesi al gestore se mi desse una stanza col bagno in camera e lui mi disse che l'unica disponibile era quella di Vieri. Poi aggiunse "se vuoi chiediglielo tu, io non glielo chiedo". Per me non era un problema chiederglielo, lo consideravo un compagno come un altro. Lo trovai che giocava a biliardo con Ronaldo e gli chiesi se potessi dormire in camera con lui, rimase in silenzio per 10 secondi e poi mi rispose "va bene ma stasera mi porti la camomilla prima di andare a dormire". Io gli risposi che non c'erano problemi anche perché anche io bevevo la camomilla prima di andare a letto. Quella sera gli portai camomilla e biscotti, lui mi rispose semplicemente "bravo" e poi si mise tutta la sera a parlare al telefono in inglese, senza più rivolgermi la parola. La sera dopo fu lui a portarmi la camomilla e da lì è nata una bellissima amicizia che dura da anni.
Nell’estate del 2001 passi al Milan dove hai vinto tutto. Che ricordi hai e com’è vincere la Champions?
Per me era un ritorno perché ero già stato 10 anni nelle giovanili del Milan indossando la fascia da capitano. Tornare in prima squadra è stata una rivincita personale e al contempo è stato come tornare in famiglia, nella società in cui ero cresciuto, anche perché quando ero andato via pensavo di non tornare più. Lì ho conosciuto uomini meravigliosi come Billy Costacurta: persona fantastica che però a volte ti mette in soggezione anche solo a guardarti, così come Paolo Maldini. Due persone incredibili che hanno dato tanto al Milan e che insegnavano le regole ai neo arrivati, facendoli capire cosa significava indossare quella maglia.
Vincere la Champions è stato realizzare un sogno, il trofeo più importante in assoluto a livello di club. Molti grandi campioni non l'hanno vinta. Mi fa ridere chi sui social mi prende in giro chiamandomi "miracolato". Io rispondo di andare a vedere il mio percorso, sono riuscito a ritagliarmi uno spazio importantissimo in un grande Milan giocando nel 2003 ottavi, quarti e semifinale. Quelle due Champions le sento mie: senza quei grandi campioni Brocchi da solo non le avrebbe mai vinte, però Brocchi insieme a quei campioni ha dato un grande contributo a vincerle. Partendo da Buccinasco sono riuscito ad arrivare sul tetto d'Europa esponendo la maglietta "Brocchi si nasce, campioni si diventa". Non potevi stare in quel Milan se non avevi qualità tecniche, fisiche e mentali.
Quel Milan era allenato da Ancelotti, pensi che sia più bravo o più fortunato?
Assolutamente più bravo perché ha qualità che altri allenatori non hanno. Poi possiamo dire che ci sono allenatori, come ad esempio Guardiola, che danno maggiore identità di gioco, mentre Ancelotti fa un gioco più classico. Ok, ma Ancelotti è un fenomeno. È un allenatore da grande squadra che sa gestire grandi campioni e non è semplice. Lui ha un occhio particolare ed è capace di mettere in risalto le caratteristiche di ogni singolo giocatore e non a far sì che il giocatore cambi il proprio modo di giocare per lui. Certo, ad alti livelli serve anche la fortuna, perché palo dentro palo fuori ti cambia la carriera. Lui è stato fortunato in 2-3 momenti, come tanti altri allenatori.
Ci racconti qualche aneddoto su di lui?
È molto simpatico, è uno che sta sempre nel gruppo, che si pone sullo stesso livello dei giocatori e mai sopra, puoi tranquillamente scherzare e ridere con lui. Inoltre, riesce sempre a dire la parola giusta al momento giusto. Ricordo nell'euroderby d'andata del 2003 quando avevamo 2-3 defezioni importanti, lui passandomi affianco mi disse sorridendo "qua tutti si lamentano che manca questo, che manca quello, ma loro non sanno che io ho te". Queste cose qui non ce l'hanno tutti gli allenatori, anzi in molti ti fanno il discorsone trasmettendoti le loro paure. Invece Ancelotti, con quella frase, in quella modalità, in 5 secondi mi fece sentire il più forte di tutti. Riesce a dare serenità e a far sentire tutti importanti. Un'altra volta, in un'intervista a Le Iene, gli chiesero chi fosse il giocatore più sottovalutato e lui rispose "Brocchi, perché non sapete quello che dà".
Conoscendolo, pensi tornerà al Milan o più in generale in Italia?
No. Dopo il Real Madrid potrebbe allenare solo una nazionale, dubito che allenerebbe un club, soprattutto uno da rifondare.
Tu hai conosciuto anche Berlusconi. Che tipo era?
Numero 1 in assoluto, per distacco. Sono stato stupidamente definito il suo "cocchino", ma gli uomini di potere non mettono mai qualcuno in una posizione importante per simpatia. Lui aveva un carisma incredibile, una forza smisurata, la capacità di fissarti un obiettivo e fartelo raggiungere. Dopo aver cenato con lui ti chiedevi cosa ti avesse detto di così importante da farti sentire così forte. In realtà non c'era una frase o una parola precisa, ti faceva sentire capace di raggiungere qualsiasi traguardo.
Ricordo che mi sfotteva sul cognome, mi diceva sempre "ma tu proprio Brocchi dovevi chiamarti?". E poi raccontava la barzelletta di un certo Carlo Merda che aveva fatto carte false per cambiare nome all'anagrafe. Quando gli amici gli chiedevano quale fosse il nome nuovo lui rispondeva Pietro. Berlusconi ha seguito tutto il mio percorso da quando avevo 9 anni. Nei 3 anni in cui ho allenato il settore giovanile sapeva tutto ciò che facevo e i giocatori che avevo lanciato. Ci tengo in maniera particolare anche a elogiare Adriano Galliani, un dirigente meraviglioso. Non si vincono così tanti trofei per fortuna. Lo reputo il miglior dirigente di sempre.
Al Milan di oggi manca un dirigente di quel livello?
Oggi attaccare il Milan è come sparare sulla croce rossa. Non è più il club di Berlusconi e Galliani, è gestito da persone che hanno modalità diverse. Io darei colpe alla società se non avesse fatto mercato, se non avesse preso calciatori forti. In realtà sono arrivati giocatori importanti, ma non si è riusciti a costruire la giusta alchimia tra società, allenatore e giocatori. Perché quelle cose lì non si comprano ma si costruiscono. Hanno fatto errori? Sì altrimenti la stagione sarebbe andata diversamente. Possono migliorare nei rapporti all'esterno e coi tifosi? Certo e sono convinto che anche loro sanno cosa hanno sbagliato e dove possono migliorare. Per questo motivo rimanderei il giudizio all'anno prossimo. Se la prossima stagione verranno fatti gli stessi errori, allora sarà giusto criticare, però sono convinto che questa stagione sia servita per crescere e migliorarsi.
Secondo te mancano leader nello spogliatoio rossonero?
Non credo che non ce ne siano, io penso che all'esterno si faccia confusione tra leader tecnico e leader dello spogliatoio. Anche nel mio Milan c'erano giocatori che erano leader tecnici in campo, ma nello spogliatoio manco li notavi. Leao è fortissimo, ha qualità incredibili, se lo metti al Barcellona al posto di Raphinha, non credo cambi molto. È chiaro che se si pretende che sia leader anche nello spogliatoio, lui non è quel tipo di leader. Ad esempio vedo Maignan e Walker leader da spogliatoio.
Sai perché nel mio Milan c'erano tanti leader? Perché lo zoccolo duro era formato da italiani: a centrocampo c'erano Gattuso, Pirlo e Seedorf mentre le riserve eravamo io e Ambrosini, 4 su 5 eravamo italiani. Dopo quel Milan, qual è stata la squadra a vincere di più? La Juventus di Buffon, Bonucci, Barzagli, Chiellini, Marchisio, Pirlo, Del Piero... Anche l'Inter di oggi, seppur con una numero minore di italiani rispetto al mio Milan, ha comunque Bastoni, Dimarco, Barella, Frattesi e Darmian. Oggi in Serie A ci sono troppi stranieri: quando vedo le formazioni ci sono solo 2-3 italiani in campo. Quindi se mi chiedi cosa manca al Milan di oggi, ti dico che mancano gli italiani nonostante in Serie C e in Serie D ci siano tanti giovani talentuosi. Gli stranieri devono dare un valore aggiunto, devono essere più forti dei nostri, altrimenti non ha senso.
Le altre due squadre importanti della tua carriera sono state Fiorentina e Lazio. Ci racconti che esperienze sono state?
Ti faccio una metafora: con la Fiorentina è stato come un amore di gioventù che dura un'estate. A Firenze sono stato solo un anno in prestito, facendo una delle migliori stagioni della mia carriera. Quando arrivai non fui accolto con molto entusiasmo, anche perché nella stagione precedente la Viola si era salvata all'ultima giornata. Però dopo la prima giornata è stato tutto meraviglioso, abbiamo fatto un'annata bellissima arrivando quarti con una squadra forte dove c'erano Bojinov, Pazzini, Montolivo, Frey, Gamberini, Dainelli, Ujfalusi, Pasqual, Donadel, Toni, Jorgensen, Fiore. Con la Fiorentina è stato un grande amore durato poco, breve ma intenso.
Per quanto riguarda la Lazio, non pensavo che dopo il Milan avrei trovato un'altra famiglia. È come quando ti innamori di un'altra donna dopo esserti lasciato con tua moglie e ti rifai una nuova vita. La Lazio mi è entrata dentro al cuore, quando c'è il derby ancora lo sento come quando giocavo. I primi 6 mesi non sono stati facili: da milanese ho avuto difficoltà ad ambientarmi a Roma. Infatti volevo andare via, poi di colpo ho iniziato a capire l'ambiente e mi sono trovato benissimo, dando tutto me stesso. Si pensava che fossi andato in biancoceleste a svernare, invece mi dimezzai lo stipendio pur di dimostrare di poter vincere anche lontano da Milano. Lì ho vinto due Coppe Italia e una Supercoppa Italiana. Ringrazierò per sempre il tributo che mi fecero i tifosi il giorno del mio addio al calcio. So che i laziali sono arrabbiati con Matuzalem per quell'intervento duro che mi fece ma in realtà non è stato lui a farmi smettere di giocare ma l'infortunio al piede dell'anno prima. Dopo quell'infortunio non sono più riuscito a tornare ai miei livelli.
Com'era giocare con Klose?
Miro è come me e come tanti campioni con cui ho giocato nel Milan: ha un lato umile tipico dei grandi campioni. Le star sono una cosa, i grandi campioni sono altro e lui lo era. Poteva tranquillamente stare nel mio Milan.
Da allenatore hai fatto molto bene al Monza vincendo anche il campionato di Serie C. Però sei stato esonerato per aver mancato la promozione nel 2021. Pensi che avresti meritato un’altra chance?
Non sono stato esonerato, abbiamo deciso insieme di rescindere in maniera consensuale. Avremmo potuto anche continuare ma Monza non è una piazza semplice, tutti si aspettavano di vincere in maniera facile perché dietro c'erano Berlusconi e Galliani e perché avevamo una grande squadra. Io ho fatto due anni e mezzo alla grande ma tutto era dato per scontato, ci si aspettava di vincere tutte le partite 3 a 0. Io ho sempre dato tutto, non era facile uscire subito dalla serie C, ci sono squadre che hanno speso in quegli anni quanto il Monza ma non ce l'hanno fatta. Tornando al discorso di prima, l'anno di B per me è stato "palo fuori". Ci sono stati dei fattori esterni che hanno condizionato il percorso, è stato un anno complicato, però è stato creato qualcosa di importante.
Oggi è facile dire "come hai fatto a non vincere con in squadra Frattesi, Colpani, Di Gregorio e Carlos Augusto?!" e io rispondo che all'epoca non erano i giocatori che sono adesso. Quei giocatori li abbiamo costruiti, abbiamo fatto un lavoro importante con loro. Però sembrava sempre che non andasse mai bene niente. Se la Salernitana non avesse vinto a Pordenone con un rigore stupido a pochi secondi dal triplice fischio, ci saremmo andati noi in Serie A. Là sarebbe cambiata la mia carriera ma dopo una delusione così grande, con Berlusconi e Galliani decidemmo di dividerci, anche per l'affetto reciproco che ci legava. Quindi si decise di creare un'aria nuova puntando su Giovanni Stroppa che ha fatto qualcosa di importante riprendendo il mio lavoro. La differenza tra il mio Monza e il suo è che a me è stato "palo fuori" mentre a lui è stato "palo dentro". Ti giuro che all'ultima partita ero lì a tifare Monza, anche per i tifosi che meritavano di vivere la gioia della Serie A.
Ora si è aperto un nuovo capitolo della tua vita come allenatore degli Zeta in Kings League. Com’è iniziata questa avventura e cosa ne pensi di questa nuova competizione?
Mi sono avvicinato alla Kings League grazie ai miei figli che mi hanno detto "se rifiuti anche questa proposta non ti parliamo più". Ho accettato prendendolo come un gioco, per stare coi miei figli che sono parte attiva dell'esperienza. Poi ho avuto la fortuna di trovare un presidente meraviglioso come ZW Jackson, un ragazzo pulito con dei valori e abbiamo creato un'alchimia forte con i giocatori. Noi in Kings non siamo i più forti tecnicamente, ma abbiamo creato qualcosa di bello e forte e siamo a un punto dalla prima in classifica. Abbiamo costruito qualcosa di bello indipendentemente dalla posizione in cui arriveremo alla fine.
Com'è avere Toni come presidente e cosa ne pensi di Matteo Perrotti?
È bello perché Luca è simpaticissimo e dà la carica in ogni cosa che fa. Perrotti è fenomenale, è fortissimo, a fine competizione gli chiederà come mai gioca in Serie D.
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