"Avevo tutto quello che un ragazzo poteva sognare: ero un calciatore, avevo i soldi. Eppure non era abbastanza. Mi sono fatto di tutte le sostanze possibili e immaginabili, bevevo alcol ed ero infelice". È la rivelazione shockante di Lys Gomis, ex portiere di Torino e Lecce. L'estremo difensore italo-senegalese lo ha rivelato in un'intervista a Radio Serie A e TMW Radio, in cui ha raccontato il terribile periodo della sua vita fatto di depressione, alcol e droghe. Per fortuna, ormai è tutto alle spalle. Ma Gomis non ha dimenticato. Ora collabora con l'associazione che lo ha aiutato a uscirne e, allo stesso tempo, raccomanda i giovani di non finire in quel tunnel.
Gomis: "Ho vissuto la depressione sulla mia pelle. Ecco come sono iniziati i problemi con alcol e droghe"
Come riportato da goal.com, Gomis ha svelato le ragioni dietro al suo malessere: "Io ho smesso a 30 anni. Avevo sentito parlare di depressione e io purtroppo l'ho vissuta sulla mia pelle. Da lì sono iniziati i problemi con alcol e droghe. Cosa mi ha portato a cedere a queste debolezze? L’infortunio che ho avuto e contemporaneamente la mancanza di mio padre hanno contribuito alla mia infelicità. Quando mi sono trovato a dover gestire tutto, non ce l’ho fatta. All’epoca mi faceva comodo fare la vittima, il ragazzo che smettendo di giocare a calcio per un infortunio si era trovato smarrito. Erano tutte scuse. È comodo dare la responsabilità ad una perdita e giustificarsi. Io ho un fratello e anche lui ha perso un padre, ma non ha scelto di drogarsi e di bere. Quella scelta è stata solo una mia responsabilità".
Gomis: "I ragazzi pensano che la droga presa una volta ogni tanto non faccia male, ma non è così!"
Adesso Gomis gioca tra i dilettanti e lavora per l'Associazione Narconon, quella che lo ha aiutato ad uscire dal periodo buio: "Io sono caduto e sono riuscito ad alzarmi perché ho chiesto aiuto alle persone giuste. La libertà è poter chiedere aiuto, ne sono uscito grazie alle persone belle che ho incontrato strada facendo. La mia forza è stata la consapevolezza di dover chiedere aiuto. Dopo che ho finito il mio percorso di riabilitazione ho voluto rimanere con loro ed aiutarli a riabilitare i ragazzi che purtroppo cadono in queste cose. Noi abbiamo un progetto chiamato “Io dico di no”, che portiamo all’interno delle scuole e delle società sportive. Dobbiamo spiegare che c’è sempre una seconda strada. Oggi i ragazzi pensano che la droga presa ogni tanto non faccia male e che se ne può uscire, ma dobbiamo spiegargli che non è vero: di droga si muore".
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