Pellissier si racconta: "Il mio amore per il Chievo, la stima di Moratti, il caso Luciano e l'amicizia con Jerry Calà"

La redazione di Chiamarsi Bomber ha intervistato uno degli ultimi bomber di provincia, nonché bandiera del Chievo Verona Sergio Pellissier, oggi presidente del club clivense.
calcio italiano28/01/2025 • 17:40
facebookXwhatsapp
S. Pellissier
retired
retiredAttaccante
Stagione --

0

Goals

0

Tiri in porta

0

Tiri

0

Assists

112 gol in Serie A non li fai se non hai qualcosa di speciale e Sergio Pellissier è stato uno dei più grandi bomber di provincia degli ultimi 20 anni. Giocatore rapido e con un senso del gol fuori dal comune, ha deciso di legare a vita la sua carriera e il suo cuore al Chievo Verona, di cui oggi è presidente. In una lunga intervista alla redazione di Chiamarsi Bomber, Pellissier ha raccontato tutto ma proprio tutto, dagli inizi a Torino, fino all'acquisto del marchio Chievo che ha ridato vita a un club che pareva destinato all'oblio.

Ciao Sergio, partiamo dagli inizi. Tu fai le giovanili nel Torino con cui esordisci in Serie B. Che esperienza è stata e come ti sei trovato in granata?

È stata una bella esperienza, perché sono diventato uomo a Torino. Sono arrivato a 11 anni e sono andato via a 19. Lì ho fatto nuove amicizie, ho avuto le mie prime avventure e mi sono diplomato. Mi sarebbe piaciuto esordire in Serie A con la maglia granata perché se sono diventato un tipo determinato e che non molla mai è grazie al Toro.

Dopo il Torino passi a Varese dove per pochi mesi condividi lo spogliatoio con un giovanissimo Totò Di Natale...

Con Totò siamo molto amici perché ci conosciamo proprio dagli anni di Varese, anche se nessuno lo sa. Siamo stati pochi giorni insieme perché io arrivai per sostituirlo. Poi ci siamo ritrovati da avversari in Serie A ma abbiamo un buon rapporto. Lui lasciò Varese per andare a Viareggio dove dimostrò di essere un grande giocatore diventando capocannoniere della Serie C2, poi lo prese l'Empoli ed è iniziata la sua storia. 

Dopo una parentesi di due anni alla Spal, dal 2002 fino a fine carriera giochi stabilmente nel Chievo. Col club clivense è stato amore a prima vista o ti sei legato col tempo?

All'epoca ero in comproprietà col Torino, ma a fine stagione alle buste i granata non offrirono niente mentre il Chievo offrì una piccola somma e mi acquistò. Nei primi 6 mesi non giocavo mai e quindi mi mandarono in prestito a Ferrara. Quell'esperienza mi è servita perché ho acquisito qualità facendo la gavetta e sono cresciuto tanto. Quando sono tornato al Chievo nel 2002 ero pronto e ho avuto la fortuna di trovare un allenatore che mi ha dato fiducia. Poi col tempo mi sono affezionato a quelle persone che credevano in me e ho sempre dato il massimo per non deluderle. Più passava il tempo e più diventava difficile andare via.

Nel tuo primo anno tra i gialloblù scoppia il caso Eriberto-Luciano. Cosa hai pensato quando ha confessato la sua vera identità? Avevi sospettato qualcosa?

Lui arrivò nel 2000, tre giorni dopo il mio arrivo ma si è esposto diversi anni dopo. Ogni volta che facevamo il torello, in mezzo ci andavano sempre i più giovani e lui non voleva mai andarci perché sosteneva di non essere giovane. Diceva la verità ma noi ridevamo perché pensavamo scherzasse. 

Nel tuo primo anno al Chievo c’era anche Oliver Bierhoff. Che giocatore era? Hai appreso qualcosa da lui? 

Era un vero professionista che ha raggiunto certi livelli perché aveva tanta determinazione, come tutti i campioni. Lui mi ha insegnato a credere nelle mie qualità. Un giorno mi prese da parte e mi disse "quanti gol vuoi fare quest'anno?" e io gli risposi "me ne bastano 5, l'importante è che gioco", lui mi consigliò "punta a farne 10 così vedrai che a 5 ci arrivi". Non so se è un caso ma quell'anno feci davvero 5 gol. Da quel momento in poi ho iniziato a ragionare record dopo record, una volta raggiunto il primo obiettivo puntavo subito all'altro. Questo mi ha permesso di raggiungere tanti record al Chievo. A Bierhoff gli devo tanto.

Ma è vero che Legrottaglie era così religioso? 

No, non era religioso quando era al Chievo. Era un bravo ragazzo ma è cambiato col tempo, fuori da Verona. Era un giocatore valido che credeva molto in sé stesso e si impegnava sempre al massimo.

Com’era Delneri?

Lui aveva grande personalità, credeva in quello che faceva e trasmetteva ai giocatori il suo modo di vedere il calcio. Parlando con lui capivi la sua logica. Era come un papà ma molto severo: a volte ti faceva sgarrare, ma la maggior parte delle volte non potevi sbagliare altrimenti non ti faceva giocare. Il suo era un calcio divertente e creativo, ma anche concreto. Aneddoto curioso? Confermo l'aneddoto di Tiribocchi sulla partita di Messina.

Nella stagione 2005-2006 fate una stagione straordinaria e tu realizzi 13 reti. Avete mai pensato di poter vincere lo scudetto?

Facemmo un grande campionato, eravamo forti ma al livello delle medio-alte squadre. Non eravamo competitivi per lo scudetto. La Juve, che poi venne squalificata, era troppo forte. Fu un anno bello anche se poi l'anno dopo retrocedemmo.

Come mai Amauri non è riuscito a ripetersi alla Juve?

Fin da subito al Chievo si capiva che era forte, in allenamento faceva grandi cose ma poi in partita non rendeva. Probabilmente non avendo la fiducia dell'allenatore andò un po' in crisi. Poi Pillon gli diede fiducia facendolo giocare con continuità ed emerse il campione. Lui l'anno che arrivammo quarti diede un grande contributo. All'inizio in bianconero fece molto bene, però alla Juve la pressione è tanta e non puoi permetterti di sbagliare manco una partita. Magari lui si è un po' perso, anche se l'hanno messo fuori rosa quando stava facendo bene. Se giocasse oggi in questa Juve sarebbe titolare fisso. Probabilmente si è trovato in un momento sbagliato, quando i bianconeri erano pieni di campioni. Può darsi che sia successo anche qualcosa internamente che non conosco. Però era molto forte.

Tu hai vissuto 17 stagioni con la maglia del Chievo, c’è mai stato un momento che hai pensato “basta, ora vado via”?

Diversi club mi hanno cercato ma il Chievo ha sempre rifiutato. Poi quando mi hanno messo in panchina ed ero trattato come l'ultimo degli ultimi, allora ho pensato di andar via. Mi dava fastidio di essere trattato come un giocatore finito. Stavo per andar via ma i tifosi vennero sotto casa per convincermi a restare. Mi diedero grande forza, fiducia e scelsi di rimanere.

Qual è la squadra a cui sei stato più vicino?

La maggior parte delle squadre non arrivavano mai a me perché il Chievo rifiutava tutte le offerte. Il Napoli è la squadra che si avvicinò di più ma la società rifiutò l'offerta e non se ne fece niente. Però scoprì per caso dell'interesse dell'Inter. Mi feci male alla caviglia e mi operai nella stessa clinica dove si operò Javier Zanetti al tendine d'Achille. Mentre stavo uscendo dalla clinica mi si avvicinò Moratti e chiese al dottore come stavo e come fosse andata l'operazione. Poi si rivolse a me dicendomi "Lo sa che lei è il mio più grande rammarico? Avrei voluto portarla all'Inter ma il presidente non ha mai voluto cederla". Forse l'Inter sarebbe stato troppo per me ma è stato bello sapere dell'interesse perché mi ha dimostrato che qualcosa di positivo l'ho fatta in carriera.

Nel 2018 scoppia il caso delle plusvalenze fittizie che poi portano al fallimento del Chievo. Campedelli ha sempre detto che sono stati fatti due pesi e due misure rispetto alle big. Tu cosa ne pensi?

Probabilmente Campedelli aveva ragione, ma questa è l'Italia. Io ho sempre detto che se gli altri sbagliano, non è che devi sbagliare anche tu. Forse se fossimo stati più attenti a evitare certi errori che fanno le grandi squadre, forse non sarebbe successo tutto ciò. Se fare il passo più lungo della gamba comporta fare plusvalenze fittizie, sarebbe stato meglio fare un passo in meno e non sarebbe successo nulla. Però coi se e coi ma non si va da nessuna parte.

Dai tuoi primi anni al Chievo agli ultimi anni quanto è cambiato il calcio italiano? Quanto il var ha cambiato il gioco?

Non sono molto contento del var, si potrebbe utilizzare in modo migliore. È a discrezione di chi lo guarda: lo stesso fallo visto al var da un arbitro o dall'altro, determina un diverso risultato. A parte il fuorigioco dove si va a vedere il millimetro - e anche quella è un'assurdità -, il var è giusto per alcune cose e ingiusto per altre. In generale non credo stia realmente dando una mano, anzi penso che sta rovinando il gioco del calcio. Bisogna saperlo interpretare ma ci sarà sempre l'errore perché gli arbitri sbagliano, come sbagliavano prima. E poi non mi piace perché il var mi ha annullato due gol, sempre contro il Frosinone all'andata e al ritorno. Sarebbe stato bello far gol nell'ultima partita della mia carriera.

 

Per quanto riguarda il calcio italiano, secondo me non si è evoluto perché ci sono tante problematiche esterne con giocatori che possono andar via quando vogliono e società che possono mettere fuori rosa un giocatore senza una vera motivazione. Di giocatori che ci tengono alla maglia non ce ne sono più tanti, pensano più alla loro carriera che a dare un reale apporto alla squadra. La passione, il cuore, quelle cose che avevamo noi quando giocavamo, non ci sono più e mi mancano. Da presidente preferisco tenere giocatori di cuore piuttosto che di qualità.

Come ti trovi nel ruolo di presidente?

Mi piace vedere il calcio da presidente, mi piace anche giocare ma non ho più voglia di faticare e di prendere le botte in campo. L'unica cosa che realmente mi manca è l'esultanza del gol. Ora esulto quando segna un mio giocatore e va bene così.

Hai gestito per alcuni anni una churrascheria a Verona con Squizzi. Ma com’è nata l’idea e com’è andata?

Eravamo noi due con altre persone: a me piaceva la carne e quindi avevamo avuto questa idea. L'attività andava anche bene però non riuscivo a starci dietro. Alla fine sono stato fortunato perché l'ho venduta poco prima del covid.

La prefazione del tuo libro "Ho fatto trentuno" l’ha scritta Jerry Calà. Com’è nata questa collaborazione?

È nata da un'amicizia perché il figlio è tifoso del Chievo e io ero il suo pupillo. Tramite un amico in comune organizzammo una cena alla churrascheria e facemmo subito amicizia. Loro ci hanno sempre sostenuto, anche quando abbiamo preso la Clivense e successivamente quando abbiamo acquistato il marchio Chievo. Ci sono sempre stati e questo per me è molto importante.

A Maggio hai acquistato il marchio Chievo. Com’è nata l’idea di questo grande gesto d’amore?

Ho sempre amato il Chievo, non potevo sopportare che quel marchio finisse nelle mani di chi non aveva il nostro stesso amore per quei colori. Ho voluto fare un regalo ai tifosi. Quanto torneremo in Serie A? Entro 10 anni.

 

Chiamarsi Bomber è ora su Whatsapp, iscriviti subito al canale! CLICCA QUI!

calcio italiano28/01/2025 • 17:40
facebookXwhatsapp
Tags :Serie A

Ultime News

Cb Digital
CB Digital Company srlSede legale: Piazza Trieste 23/24, 27049 Stradella (PV)P.IVA e c.f. 027101101862
Chiamarsi Bomber è una testata giornalistica regolarmente iscritta presso il Pubblico Registro della Stampa del Tribunale di Pavia al n. 632/2023 con decreto del 16/2/23. Direttore responsabile: Fabrizio Piepoli