269 presenze in Serie A condite da 11 gol, 90 partite e 2 gol in Serie B, 3 presenze in Champions League, 7 tra Coppa Uefa ed Europa League, una Coppa Italia e due Supercoppe Italiane in bacheca: questo, in breve, il bilancio della carriera di Sebastiano Siviglia, che, tra il 1993 e il 2010, ha vestito le maglie di Nocerina, Verona, Atalanta, Roma, Parma, Lecce e Lazio.
Hai giocato nella Lazio dal 2004 al 2010 e hai avuto l’occasione di indossare la fascia di capitano. Che ricordo hai dell’esperienza in biancoceleste, durante la quale hai vinto anche due trofei?
"Un'esperienza fantastica, per me è stato il modo migliore di chiudere una carriera lunga fatta di oltre 500 partite: è stato un bel passaggio della mia vita, sei anni durante i quali abbiamo conquistato due trofei e raggiunto la qualificazione in Champions. Era una Lazio che stava rinascendo con il presidente Lotito, in seguito a un momento difficile in cui era stata vicina al fallimento, e noi avevamo il compito di ricostruire quelle basi solide su cui si basa la Lazio di oggi".
Com'era il tuo rapporto con Lotito e cosa pensi del suo operato in questi 20 anni da presidente della Lazio?
"Tra me e il presidente Lotito c'è sempre stato un ottimo rapporto, basato su affetto e stima reciproca. Oltretutto, degli 11 giocatori arrivati nel 2004 (anno dell'approdo del patron in biancoceleste, ndr), io e Rocchi siamo stati i giocatori rimasti più a lungo. Gli sono molto riconoscente e lo ringrazio per aver puntato su di me. Ero ritornato al Parma dopo il prestito al Lecce ed ero in cerca di una nuova soluzione. Quando è arrivata la chiamata della Lazio ho accettato con grande entusiasmo, per me non è stata una scelta difficile. Al tempo stesso, credo che anche il presidente abbia riconosciuto il mio lavoro, che è stato lungo e duraturo. Lotito ha fatto qualcosa di importante e credo che, dal punto di vista gestionale, sia una figura di spessore. È molto attento ai particolari e ha sempre sostenuto le proprie cause fino in fondo, dimostrando le sue capacità nella gestione del club. Senza fare troppi proclami ha ricostruito la Lazio partendo da zero, dando al club una solidità importante".
È vero che Lotito è molto scaramantico? Ci racconti qualche aneddoto che lo riguarda?
"Non ricordo grandi scaramanzie, ma so che è molto cattolico: una cosa che faceva di consueto era andare in Chiesa prima di ogni partita".
Hai giocato nella Lazio del tridente Rocchi-Pandev-Zarate. Chi era il più forte dei tre?
"Difficile dirne uno. Zarate e Pandev avevano un talento cristallino, mentre Rocchi aveva una grande capacità nell'attaccare la profondità ed era un grande lavoratore. L'impatto di Mauro è stato forte: quando è arrivato ha fatto vedere subito le sue qualità e, probabilmente, è quello che salta maggiormente all'occhio per come si è imposto nell'immediato nonostante la giovane età. Ad ogni modo tutti e tre hanno contribuito, ognuno con le sue caratteristiche, alla crescita della Lazio".
Alla Lazio, Zarate sembrava destinato a diventare un top player ma non è riuscito a consacrarsi altrove. Secondo te cosa gli è mancato?
"Probabilmente Mauro avrebbe potuto fare qualcosa in più: aveva un talento enorme e qualità straordinarie. Quando si è giovani è fondamentale la gestione e, magari, gli è mancata un po' di continuità. Credo che dal punto di vista tecnico meritasse ampiamente la Nazionale, ma quando la chiamata non arriva è il caso di farsi anche delle domande. Probabilmente, al netto di qualità indiscutibili, c'era qualche tassello mancante".
Nel 2009 hai conquistato la Supercoppa Italiana con la Lazio. Un successo arrivato battendo l'Inter, che avrebbe poi vinto il Triplete: era davvero così forte? Qual è stato il segreto di quella vittoria?
"Quell'Inter era una squadra stratosferica, una delle più forti in Europa. Noi abbiamo fatto del nostro meglio mettendo in campo un grandissimo spirito, con la consapevolezza di avere di fronte un avversario difficile da affrontare. Abbiamo cercato di limitarli e sono convinto che, alla fine, è stata una vittoria di gruppo. Era un appuntamento importante in cui tutta la squadra, chi ha giocato e chi no, era coinvolta per raggiungere un grande obiettivo. Aver vinto quel trofeo è un motivo di orgoglio ed è stata una grandissima soddisfazione".
Hai giocato nella Roma nella stagione 2001-02 dopo la vittoria dello scudetto: com'è stato condividere lo spogliatoio con gente come Totti e Cassano?
"Era una squadra importante: ad agosto abbiamo vinto la Supercoppa Italiana e abbiamo poi chiuso il campionato al secondo posto, dietro la Juve. Era una sorta di Nazionale mista, composta da italiani, brasiliani, argentini, francesi. Franco Sensi aveva costruito una grandissima squadra con tantissime stelle, gente di grande talento che quando andava in campo dimostrava tutte le sue qualità. Cassano, già alla prima stagione alla Roma, ha fatto vedere subito il suo talento mostrando una grande personalità. Parliamo di un giocatore, all'epoca di 19 anni, che in carriera avrebbe potuto fare molto di più per quelli che erano i mezzi tecnici di cui disponeva".
Quali sono le differenze tra laziali e romanisti?
"La mia esperienza alla Roma è durata solo un anno e non l'ho vissuta nel migliore dei modi: è stata una stagione intensa durante la quale non ho trovato molto spazio. Alla Lazio invece sono particolarmente legato alla luce dei sei anni con la maglia biancoceleste, scanditi dalla conquista di due trofei, durante i quali sono stato davvero bene. Chiaramente a Roma si respira questa rivalità, che poi si percepisce particolarmente il giorno del derby, una partita che coinvolge tutta la città: una giornata in cui tutti si trasformano e indossano l'abito da stadio".
Hai vestito la maglia dell’Atalanta negli anni in cui galleggiava tra Serie A e Serie B. Che effetto fa vederla oggi tra le grandi e in lotta per lo scudetto?
"L'Atalanta è cresciuta tantissimo in questi anni, i Percassi hanno fatto un lavoro straordinario. La mia esperienza è coincisa con un'epoca transitoria, ma oggi si parla di un club che riesce a stare stabilmente nelle posizioni alte della classifica e a centrare con continuità la qualificazione alle coppe europee. La proprietà ha investito tanto nello stadio, nelle strutture, nell'allenatore e nei giocatori, dimostrando una grande capacità di gestione e ottenendo risultati importanti. In questa direzione va dato merito alla famiglia Percassi e a Gasperini, un grande allenatore che ha fatto un ottimo lavoro in questi anni".
Nella tua carriera hai avuto tanti allenatori: da Cagni a Capello, chiudendo con Delio Rossi, Reja e Ballardini alla Lazio. Chi ti ha dato di più dal punto di vista calcistico?
"Mi piace ricordare Gigi Cagni ai tempi del Verona, che ha creduto in me dandomi fiducia. Arrivavo dalla Nocerina, in C1, e dopo tre partite mi ha messo in campo contro la Fiorentina di Batistuta, con Baroni e Vanoli al mio fianco. Un'altra figura importante nella mia carriera è stata sicuramente Delio Rossi, con cui avevo già lavorato a Lecce giocando da terzino destro. Quando arrivò alla Lazio nella stagione 2005-06, inizialmente era un po' scettico rispetto al mio ruolo di difensore centrale, per poi convincersi gradualmente e darmi fiducia in quella posizione".
Un’analisi sul momento attuale della Lazio: dove può arrivare questa squadra e cosa sta portando Baroni al club biancoceleste?
"Baroni è un tecnico molto preparato, sta facendo un grandissimo lavoro valorizzando tanti giocatori: inizialmente c'era un po' di scetticismo rispetto a questa scelta, ma, al di là di come finirà la stagione, credo sia stata una scelta azzeccata da parte della società. Probabilmente è un allenatore sottovalutato, sebbene avesse conquistato due salvezze importanti con Verona e Lecce che valgono come degli scudetti. Ha portato la squadra ai quarti di finale di Coppa Italia, è ancora in corsa in Europa League e sta lottando per la Champions in campionato. Sicuramente è una stagione molto dispendiosa che, inevitabilmente, implica anche qualche passo falso, ma credo che la Lazio possa ambire alle posizioni alte della classifica".
Un pronostico su lotta Champions e lotta scudetto
"In chiave scudetto credo che l'Inter sia la squadra più attrezzata. Al di là della qualità, la squadra gira al meglio e ottiene risultati importanti nei momenti decisivi. Sono impegnati su tre fronti e possono giocare un ruolo importante anche in Champions. Chiaramente gli episodi possono fare la differenza ma i valori dell'Inter sono di livello assoluto. In ottica quarto posto è ancora tutto aperto, ci sono diverse squadre in lotta e mancano nove giornate alla fine. Il campionato è lungo, 27 punti sono tanti e tutte dovranno lottare fino alla fine per giocarsi le proprie carte".
Quale difensore ti somiglia di più nella Serie A di oggi e come è cambiato il ruolo negli ultimi anni?
"Guardando spesso la Lazio mi rivedo un po' in Mario Gila (arrivato dal Real Madrid nell'estate 2022, ndr), giocatore rapido, esplosivo e bravo in copertura. Oggi il ruolo è cambiato: quando giocavo io al difensore si chiedeva di marcare l'uomo e, in tal senso, l'ultimo difensore di quel tipo credo sia stato Chiellini. Oggi al difensore viene chiesto di svolgere un compito diverso: deve avere la capacità di impostare, leggere le situazioni di gioco e spingersi in avanti per dare manforte alla manovra offensiva".
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