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Tiribocchi: "Spalletti mi sfondò un braccio. Con Conte allenamenti da Marines. Ecco perché rifiutai l'Inter"

Abbiamo intervistato in esclusiva Simone Tiribocchi ex di Chievo, Lecce e Atalanta che ci ha raccontato il suo trascorso in Serie A e il rapporto con i suoi ex allenatori Conte e Spalletti
calcio italiano07/12/2024 • 12:45
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Simone "Tir" Tiribocchi è stato uno degli ultimi bomber di provincia e ha voluto raccontare alla redazione di Chiamarsi Bomber la sua carriera, dagli inizi nelle giovanili della Lazio, agli anni d'oro di Bergamo, Verona e Lecce.

Ciao Simone partiamo dagli esordi: tu sei dichiaratamente tifoso della Roma ma hai iniziato nelle giovanili della Lazio. Come hai vissuto quell’esperienza?

Vengo da una famiglia romanista e il mio sogno era quello di giocare nella Roma ma è anche vero che fui io a rifiutarla dopo aver superato il provino. All'epoca ero timido e preferì la Lazio perché c'erano i miei amichetti. Ricordo che al derby noi romanisti venivamo messi come raccatapalle sotto la Curva Sud e viceversa i laziali che giocavano nella Roma venivano posizionati sotto la Nord.

In quegli anni delle giovanili biancocelesti hai conosciuto Nesta e Di Vaio? Erano già così forti?

Loro sono più grandi però è capitato di allenarmi qualche volta con loro. Quella Lazio Primavera allenata da Domenico Caso era fortissima, c'erano anche Alessandro Iannuzzi e Flavio Roma. Mi ricordo che negli allenamenti mi gonfiavano di botte perché ero più giovane. Era un altro calcio... Però ho bei ricordi perché erano i primi tempi in cui iniziavo a giocare con calciatori forti. In quella squadra anche Flavio Roma ha fatto una bella carriera, mentre Iannuzzi era molto forte ma non ha avuto la stessa forza e fortuna di Nesta e Di Vaio.

Esordisci in Serie A col Torino nel 2001, ma pochi mesi dopo passi in prestito all’Ancona. Cosa non ha funzionato in granata?

Non mi ritenevano pronto. Feci uno spezzone di partita con Camolese ma io volevo giocare, crescere, per me era fondamentale fare la gavetta. Per questo motivo sono andato all'Ancona dove ho trovato mister Spalletti. Ci abbiamo messo un mese buono a prenderci, per colpa mia perché ero molto giovane: feci una stupidata e lui mi mise fuori rosa. Poi piano piano ci siamo conosciuti, ho capito cosa voleva e abbiamo fatto un grandissimo girone di ritorno.

Com'è Spalletti nello spogliatoio?

È molto determinato, scherza quando vuole lui ed è serio quando decide lui, dipende da come si sveglia la mattina. Però è bravo, è coerente con tutti, nello spogliatoio sa scherzare e sa essere serio al momento giusto. Mi ricordo che appena arrivato ad Ancona, in albergo mi sfidò a braccio di ferro e mi distrusse un braccio. Ebbi per 4-5 giorni dolore al gomito. Il suo era un modo per creare fin da subito empatia e competizione. Fece la stessa cosa con Muzzi ma Roberto poi si vendicò: lo invitò a fare un giro sulla sua Porsche e guidò veloce per farlo spaventare.

Al Chievo hai giocato con Pellissier e Amauri. Chi era più forte dei due?

Nella continuità Pellissier era straordinario: ha fatto tanti gol in una squadra che ogni anno doveva salvarsi. Amauri inizialmente era la quinta punta, non giocava, poi ha trovato Pillon che gli ha dato fiducia e ha avuto una crescita esponenziale. Giorno dopo giorno ha tirato fuori tutte le sue qualità che non si erano viste prima con Beretta, diventando un giocatore di caratura internazionale. Ma Pellissier per le sue caratteristiche è stato un grande attaccante: si muoveva benissimo sul filo del fuorigioco e aveva un tiro potente sia di destro che di sinistro.

Pensi che se voi attaccanti di provincia aveste giocato oggi, sareste arrivati in Nazionale?

Credo di sì. Mi viene in mente anche Rocchi che mi piaceva tantissimo. Come movimenti era uno dei migliori. Di Natale e Pellissier hanno fatto una scelta di cuore rifiutando squadre importanti. Sono giocatori che oggi starebbero fissi in Nazionale e farebbero tanti gol.

Al Chievo sei stato allenato per pochi mesi da Delneri. Come ti sei trovato con lui?

Arrivò al Chievo a fine novembre mentre io andai via a Gennaio, quindi non l'ho vissuto molto ma ho un aneddoto da raccontare: mi fece giocare titolare con Pellissier a Messina e feci gol dopo un bello scambio con lui, ma perdemmo. Il mister a fine partita ci disse che gli eravamo piaciuti e ci riempì di complimenti. Peccato che poi non abbiamo più giocato insieme. A gennaio mi mandò via perché voleva un attaccante con altre caratteristiche, un ariete e presero Bogdani mentre io andai a Lecce. Quando però lo incontrai la stagione dopo e lui allenava l'Atalanta mi disse che si era pentito e che aveva fatto il mio nome alla dirigenza per la stagione successiva. Nonostante lui andò via da Bergamo a fine stagione, la dirigenza mi contattò lo stesso proprio grazie a quella segnalazione di DelNeri. Per lui è stato complicato tornare a Verona, era finita la favola Chievo e c'erano nuovi giocatori. Però ha fatto molto bene, il suo 4-4-2 ha fatto scuola.

Dopo una parentesi a Lecce nel 2009 approdi all’Atalanta in una stagione strana in cui vengono cambiati diversi allenatori e a fine stagione retrocedete. Cosa non ha funzionato in quella stagione?

Stagione incredibile. Ero arrivato dopo gli undici gol a Lecce dove però eravamo retrocessi. A Bergamo partì subito male con Gregucci, facemmo 4-5 sconfitte consecutive. Noi eravamo una buona squadra, ma ci sono annate che gira tutto male e poi riprenderle diventa difficile. Poi con Conte iniziammo a fare bene, avevamo una media punti da salvezza, eravamo sulla strada giusta. Solo che appena lui arrivò trovò i valori fisici molto bassi, quindi a ottobre facemmo una vera e propria preparazione tipo quella estiva. Facevamo primi tempi al di sotto del nostro livello ma nel secondo tempo volavamo, proprio perché eravamo una squadra aerobica e ci mettevamo molto a entrare in partita. Poi dopo 3 mesi Conte diede le dimissioni perché non si era preso con la piazza. A noi mancava continuità di risultati e quindi veniva sempre messo in discussione l'operato di tutti. Forse serviva azzerare tutto e ripartire, difatti l'anno dopo vincemmo il campionato di Serie B e l'Atalanta non è mai più retrocessa.

Ti aspettavi che l’Atalanta sarebbe diventata una big del nostro calcio?

Sapevo della grande competenza e amore dei Percassi che sono stati calciatori e ne capiscono tanto di calcio. Sapevo che avrebbero fatto grandi cose perché in quegli anni ricordo che era stata ristrutturata Zingonia, che era già un centro sportivo all'avanguardia. Certo non mi aspettavo che in così pochi anni sarebbero diventati competitivi in Europa e per lo scudetto. I Percassi hanno avuto una grande intuizione, soprattutto con la scelta dell'allenatore. Ripensando all'anno della retrocessione in cui furono cambiati 4 allenatori, adesso con Gasperini hanno trovato il mister ideale.

Come mai molti giocatori a Bergamo riescono a esprimersi al meglio?

Partiamo dal presupposto che storicamente gli attaccanti hanno sempre fatto bene a Bergamo, così come a Genova perché sono piazze calde che ti fanno sentire importante. Io iniziai male ma poi incominciai a segnare con regolarità. La curva è pazzesca e lo stadio ti galvanizza. L'atalantino è passionale, in settimana ti sprona e ti chiede di andare a giocare nei paesini vicini per fidelizzare nuovi tifosi. L'Atalanta ti fa sentire giocatore vero, l'ambiente ti fa stare bene e lo stadio ti carica quando entri in campo.

Hai raccontato che gli allenamenti con Conte erano una sofferenza. Ci racconti qualche aneddoto su di lui e sui suoi allenamenti?

Dopo qualche allenamento mi disse 'quanti gol hai fatto in Serie A?", io gli risposi che ne avevo fatti massimo 11 e lui mi disse 'impossibile che non arrivi almeno a 15'. Già questo ti carica e infatti col suo avvento segnai per 4 partite consecutive. Inizialmente non giocavo, ma poi segnai contro l'Inter del triplete e diventai titolare. Lui arriva ovunque col lavoro, è ossessionato dalla vittoria. Con lui non si scherza. Facevamo allenamenti da Marines e non sto esagerando. Avevamo la palestra per le arrampicate, ci venivamo le vesciche alle mani. Facevamo test fisici dove la gente vomitava, se non raggiungevi il massimale del battito ti faceva allenare fino alla sfinimento. Il giovedì facevamo la partitella amichevole contro una squadra locale e lui e il preparatore monitoravano col computer il battito cardiaco. Ricordo che una volta Padoin e Garics che correvano tanto, non avevano raggiunto il livello richiesto e Conte li fece allenare fino alla sera, mentre noi eravamo già andati via. Se non aveva fatto lavorare al massimo la squadra in allenamento temeva di compromettere la prestazione in campo. Era fatto così. Il suo umore dipendeva dal risultato, quando perdevamo il giorno dopo manco ci salutava. Noi però non ce la prendevamo perché sapevamo quanto amasse il calcio. D'altra parte quando vincevamo era felicissimo e veniva in allenamento sorridente. Noi il sabato andavamo al cinema tutti insieme e lui non era mai d'accordo sulla scelta del film. Però una volta siamo riusciti a farlo ridere con una commedia divertente. Credo che adesso sia cambiato, però gli brucia ancora quando perde. Forse è proprio questo il segreto del suo successo.

In passato sei stato vicino a Roma e Inter. Hai qualche rimpianto e come mai non si è concretizzato?

Di rimpianti ne ho tanti, come andar via dall'Atalanta nonostante i Percassi stravedessero per me. Con la Roma fu solo una chiacchierata coi dirigenti che non si è mai concretizzata. Con l'Inter ho avuto l'ansia perché non mi ritenevo all'altezza di quei grandi campioni. Resta il rimpianto perché avrei fatto tanti gol grazie ai loro assist, però probabilmente fisicamente non ero neanche in grado. Comunque il mio percorso è stato bello lo stesso. Il grande rimpianto resta essere andato via dall'Atalanta.

Chi era l'attaccante più forte quando giocavi?

Ronaldo, anche se io giocavo in serie B in quegli anni. All'epoca c'erano tanti grandi attaccanti come Totti, Batistuta, Ibrahimovic, Inzaghi, Vieri, Ventola anche se è stato sfortunato con gli infortuni. Mi ricordo che si raccontava che Vieri in Primavera faticasse, che fosse troppo macchinoso, poi c'è stato lo switch ed è diventato un grande bomber. Ci sono dei percorsi che possono cambiare anche quando sei grande e dopo è tutta una conseguenza.

Com’è nata la tua esultanza del TIR?

Erano anni in cui in tanti facevano le esultanze: c'era l'aeroplanino di Montella, il mitra di Batistuta, il violino di Gilardino... Io avevo iniziato a segnare con continuità e parlando con mia moglie mi ricordò che il mio soprannome da piccolo era tir. Mi venne in mente "Over the top" con Sylvester Stallone e in America i clacson dei tir si suonano con la cordicella. Per la mia carriera è stato un cambiamento incredibile, ancora oggi la gente mi ferma per strada facendo quel gesto. All'epoca non c'erano ancora i social, immagino che oggi sarebbe diventata virale quell'esultanza.

 

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Fabrizio Piepoli
Tags :ATALANTA

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