Come Wenger ha cambiato il gioco, da non dimenticare

calcio20/04/2018 • 10:51
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Non si contano neanche più gli anni che sono passati da quando i tifosi dell’Arsenal hanno iniziato a protestare contro Arsene Wenger. Anni di così tanta insofferenza, di così tanto logoramento, che sembra quasi dittatoriale il modo in cui il tecnico francese abbia deciso di continuare per tutto questo tempo.
Senza avere un briciolo di fiducia da parte del suo pubblico.
Au revoir, Ne abbiamo abbastanza, Ogni bella storia ha una fine sono stati i main theme della tifoseria dei Gunners nelle ultime stagioni, e vedere il club annunciare che quella che si chiude sarà la sua ultima stagione a Londra ha generato un effetto sorprendente. Il sogno dei tifosi dell’Arsenal si è avverato, questo è certo.
Fa riflettere, però, Paolo Di Canio. Da quando lo vedo a Sky non ha mai avuto una parola carina – usiamo un eufemismo – per Wenger. Lo ha subissato di critiche, si è accodato al treno dei tifosi che non ne potevano più di vedere questa squadra alla continua ricerca di uno specchio in cui guardarsi bella ma da anni tremendamente incapace di dare delle gioie, delle coppe, delle emozioni forti.
Di Canio oggi dice che i tifosi dell’Arsenal saranno contenti, ma noi no. E ha ragione da vendere.
Okay, un tifoso dell’Arsenal – l’Arsenal ragazzi! – si è giustamente rotto le palle di non vincere mai, non riescono più neanche a qualificarsi in Champions; ma noi tutti siamo esterni, vediamo l’Arsenal da lontano e possiamo permetterci di essere lucidi e meno contenti di uno che ha quei colori tatuati addosso.
Quando un ciclo si chiude, soprattutto così lungo, allora bisogna dare un’occhiata a quella che è stata la traiettoria completa, e ventidue anni di Wenger non si possono ridurre ai fallimenti degli ultimi anni. Sarebbe troppo ingeneroso.
E Wenger nel suo piccolo ha sia cambiato il calcio che il nostro modo di concepire l’Arsenal, ha scritto un altro tipo di narrazione per la squadra. Le ha dato un Football Heritage, un’eredità sportiva, che probabilmente neanche l’allenatore più diverso del mondo da Wenger riuscirà a cambiare in fretta al primo tentativo.
Mi preme sottolineare questo.
Oggi noi associamo l’Arsenal alla squadra che gioca sempre bene, a volte in modo spettacolare, ma che in un modo o nell’altro riesce a trovare il modo di perdere.
Ma l’Arsenal prima che arrivasse Wenger era definito boring, di una noia mortale. Era una squadra brutta da vedere, che aveva sempre quest’indole autolesionista, ma era pure brutta. Wenger è arrivato nel 1996 nell’ombra più assoluta e ha iniziato a cambiare le cose. Ha deciso che la lingua dell’Arsenal doveva iniziare a parlare diversamente, suonare più armonica, più francese. È chiaro che Wenger non abbia mai voluto giocare bene per perdere, ma perché ha sempre creduto che fosse una strada percorribile per il successo (ve lo immaginate Sarri nel 2031 al Napoli?). All’inizio ha pure avuto ragione: il Double alla seconda stagione, undici titoli nei primi nove anni, una finale di Champions dolorosamente persa col Barcellona di Dinho nel 2005 (in 10 dal 17′, vincevano fino al 75′). Per non dimenticare la vittoria del titolo, leggendaria, senza mai perdere in campionato. Chi lo avrebbe mai detto allora che Wenger sarebbe passato per quello sfigato che perde sempre?
E invece il calcio è uno sport molto crudele perché non ha la memoria lunga, la sconfitta di oggi prevale sempre sulla vittoria di ieri.

Probabilmente Wenger non ha letto in tempo i cambiamenti del calcio, si è fatto sovrastare dalle nuove superpotenze (City, Chelsea), eppure è stato uno dei primi a modificare la percezione del gioco. Wenger ha vinto tanto quando è arrivato in Inghilterra perché è stato il primo a spiegare agli inglesi che si poteva giocare anche diversamente dal 4-4-2, che c’era un altro modo di intendere questo sport. Più stiloso, più imprevedibile. Sono rimasti tutti spiazzati e quasi tutti hanno perso.
È stato anche tra i primi a dare importanza ai numeri per preparare le partite, all’epoca era un pazzo, oggi sei un pazzo se non lo fai.

La traiettoria si sta per concludere, e questi ventidue anni se ne vanno in modo circolare. Wenger ha perso la bussola, c’è poco dibattito su questo (una cosa assai curiosa è che la nuova rivoluzione del calcio è la difesa a 3, ma lui è abbastanza fermo sui principi con cui ha iniziato ad allenare), e l’Europa League è l’ultimo modo che ha per chiudere questo cerchio. Per dire che hai iniziato vincendo e sei andato via vincendo, che nel mezzo hai fatto delle cose buone e altre meno buone. Ma ventidue anni in un club significano storia, tradizione, eredità sportiva, ed è già di per sé leggendario più di vincere tre coppe l’anno.

calcio20/04/2018 • 10:51
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