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Evra: “Conosco almeno 2 gay in ogni club, ma se fanno coming out sono finiti”

calcio12/01/2022 • 14:20
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Mai banale nelle sue dichiarazioni, Patrice Evra non è certo un personaggio banale, lo vediamo spesso sui social ballare o cantare. Questa volta, però, ha messo il suo carisma in campo per una buona causa, l’omosessualità nel calcio. Sono pochissimi i giocatori che fanno coming put e l’ex terzino di Juventus e Manchester united ha rivelato il motivo.

Evra sull’omosessualità nel calcio

“Nel calcio tutto è chiuso. Se da calciatore dici che sei gay, sei morto“. Non usa giri di parole Patrice Evra nella sua intervista a Le Parisien, che critica in maniera dura la chiusura del mondo del calcio verso l’omosessualità. “Ricordo una volta quando ero in Premier venne una persona a parlare di omosessualità alla squadra – continua a raccontare l’ex terzino di Juventus e Manchester United -. Certi colleghi dissero che l’omosessualità era contro la loro religione e che se c’era un gay in spogliatoio bisognava cacciarlo dal club. Io ho giocato con gay, ne hanno parlato con me, da soli, perché hanno paura di aprirsi pubblicamente. Ci sono almeno due gay per squadra. Ma nel calcio se lo dici sei finito”.

Evra parla dello stupro e del razzismo

Il difensore francese torna a parlare dell’episodio di stupro riportato nella sua autobiografia: “L’ho raccontato non tanto per me, ma per chiunque si trovi nella mia stessa situazione di quando fui stuprato da 13enne. Ho tenuto dentro tutto per anni fino a quando, guardando una trasmissione televisiva sul tema, non scoppiai in lacrime e confessai tutto a mia moglie. Bisogna sempre parlare e denunciare chi commette tali atti, anche se i colpevoli sono dei familiari, per non vivere nel trauma”.

Sul razzismo: “Quando è venuta fuori la storia della Super Lega tutto il pianeta calcio ne ha parlato, con prese di posizioni radicali. Mi sono chiesto perché non si fa lo stesso per combattere il razzismo. Semplicemente perché non c’è in gioco denaro. Non è una soluzione vietare ai razzisti di andare allo stadio. Bisogna invece parlarne nelle scuole, nelle famiglie”.

Fabrizio Piepoli

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