“Vedrai, quello diventerà un campione!”, si diceva quando si parlava di Roberto Baronio e di Javier Saviola, due nomi che a fine anni ’90, inizi anni 2000, facevano sognare i loro rispettivi club. Peccato che poi si siano rivelati delle meteore e il loro talento si sia visto solo a tratti. Ripercorriamo la loro carriera e vediamo cosa fanno adesso.
LEGGI ANCHE:
- Lampard, il nuovo Grinch: per i giocatori del Chelsea niente feste di Natale
- Sponsor, spionaggio e Cina: Griezmann rompe il contratto con Huawei
- Robinho, confermata anche in appello la condanna a 9 anni di reclusione
Roberto Baronio il geometra del centrocampo
Cresciuto nelle giovanili del Brescia, Roberto Baronio si mette in mostra al trofeo di Viareggio del 1996 tanto da attirare su di sé gli occhi dei top club. Se lo assicura la Lazio versando nelle casse delle rondinelle 6,5 miliardi di Lire. Zeman lo fa giocare spesso, ma l’anno dopo l’allora presidente Cragnotti acquista Jugovic e Almeyda a centrocampo e la società capitolina decide di mandarlo a Vicenza a farsi le ossa. Una buona stagione tra le Lanerossi e l’anno dopo il rientro in biancoceleste. Peccato che nel frattempo sia arrivato a centrocampo un altro talento dalla Stella Rossa che lo eclissa: si tratta di Dejan Stankovic. Per questo motivo nella stagione successiva, la Lazio decide di mandarlo nuovamente in prestito, questa volta alla Reggina. Qui, in coppia con un altro giovane, Andrea Pirlo sorprende tutti creando uno dei centrocampi più forti d’Italia. Baronio rompe il gioco avversario, Pirlo costruisce. I due si ritrovano anche in under 21 e portano gli azzurrini alla vittoria dell’Europeo nel 2000.
La Lazio decide di riportarlo a casa l’anno dopo lo scudetto ma emergere in una squadra in cui la diga di centrocampo è composta da Simeone e Veron è tutt’altro che semplice. Difatti il centrocampista bresciano gioca col contagocce e l’anno dopo va di nuovo via, questa volta a Firenze. Una buona stagione che però non convince la viola ad acquistarlo e da quel momento in poi inizia un lungo giro di prestiti tra Perugia, Chievo, Udinese e di nuovo Brescia. Baronio, però, non riesce più a brillare come a Reggio Calabria, diventando con gli anni un’eterna promessa. Torna alla Lazio nel 2009, a causa di un alterco tra la società e Ledesma. Con quest’ultimo messo fuori rosa e con un buco enorme a centrocampo, l’allora tecnico biancoceleste Davide Ballardini lo convoca in extremis per la finale di Supercoppa Italiana contro l’Inter di Mourinho dove gioca titolare per 53′. I biancocelesti con una buona dose di fortuna e con un Rocchi in giornata di grazia battono i nerazzurri. A fine partita si vede Baronio girare per il campo scattando selfie con tutti i compagni e con la supercoppa. Dopo quella notte magica, torna nell’oblio e chiude la sua carriera da calciatore all’Atletico Roma. Appesi gli scarpini al chiodo ha svolto il corso a Coverciano e quest’anno Pirlo l’ha nuovamente voluto al suo fianco come collaboratore tecnico alla Juventus.
Javier Saviola il “nuovo Maradona”
Prima di Leo Messi, ad infiammare le torcide argentine c’era Javier Saviola, che a fine anni ’90 conquistò l’appellativo di nuovo Maradona. A 9 anni entra nel settore giovanile del River Plate e a 16 debutta (con gol) in prima squadra. I tifosi dei Millonaros lo soprannominano “El Conejo” (il coniglio) per la sua agilità nel dribblare gli avversari. Saviola nonostante l’età, si dimostra da subito uomo decisivo trascinando il River alla vittoria del torneo di apertura nel 1999 con 15 gol all’attivo. Vince il trofeo come miglior giocatore sudamericano dell’anno e nel 2000 riesce a far vincere ai Millonaros anche il torneo di clausura. Invece, nel 2001 trascina l’Argentina alla vittoria del Mondiale under 20 segnando il record di reti nella storia del torno (ben 7 in 11 partite).
Tutto il mondo è ai suoi piedi: il Barcellona spende 70 miliardi di Lire pur di convincere il riluttante River Plate a lasciarlo andare. In Catalogna il suo soprannome diventa “El pibito” in onore di Maradona e proprio el diez lo incensa: “È un trequartista, ma segna come Van Basten. Guarda la porta e mette il pallone lì dove per il portiere è impossibile arrivare. È un fenomeno e spero abbia ancora più fortuna di me“. I primi anni in blaugrana sono positivi, impreziositi dalla vittoria delle Olimpiadi nel 2004 con la Seleccion. Pelè lo inserisce nella top 100 della Fifa dei giocatori più forti di sempre. Tuttavia, proprio nel momento migliore della sua carriera, inizia di colpo il tracollo. Dalle parti del Camp Nou i tifosi iniziano a parlare di Ronaldinho e non più di lui. Inoltre qualcosa si rompe con l’allenatore Frank Rijkaard. Saviola non si sente più apprezzato e chiede di andar via. Inizia a girovagare tra Monaco, Siviglia e Real Madrid, ma il suo talento sembra svanito nel nulla. Poi tre buone stagioni al Benfica, ma nulla di paragonabile ai primi anni di Barcellona. Alla fine il declino lento e costante che termina nel 2014 con l’approdo all’Hellas Verona dove del “pibito” non c’è più traccia. Un solo gol in serie A e poi il ritorno al River Plate nel 2015 dove chiude la sua carriera vincendo la Copa Libertadores. Oggi vive ad Andorra dove svolge il doppio ruolo di allenatore-giocatore per una squadra di futsal, l’Encamp che grazie a lui ha vinto gli ultimi due scudetti.