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Alessandro Nesta, tempesta perfetta

calcio25/10/2015 • 20:27
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La triscaidecafobia (dal greco τρεισκαίδεκα treiskaídeka, “tredici” e φόβος phóbos, “paura”) è la paura irragionevole del numero 13, principalmente legata alla cultura popolare e alla superstizione. In alcune culture, specie quelle anglosassoni, esistono varie credenze riguardanti il venerdì 13. Molte compagnie aeree non inseriscono sui loro mezzi la fila numero 13, passando direttamente dalla numero 12 alla numero 14. Lo stesso vale per alcuni palazzi e hotel, che passano dal dodicesimo al quattordicesimo piano.
Il tredici è stato il numero di maglia di Alessandro Nesta, che evidentemente non soffriva di triscaidecafobia. Il numero per il quale verrà ricordato, il numero che molti suoi idoli avrebbero voluto vestire nelle partite di categorie dilettantesche, dove i titolari indossano i numeri dall’uno all’undici.

E’ un osservatore della Roma a scoprire il  talento del ragazzo, ma il padre tifoso laziale ringrazia e rifiuta l’offerta.  La sua carriera bianco celeste inizia all’età di nove anni, gira un po’ per tutto il campo prima di trovare la sua sistemazione. Nel principio della sua crescita calcistica avviene un fatto che avrebbe potuto tagliare le gambe a chiunque. A causa di un suo duro intervento,  la stella della squadra, Paul Gascoigne, si infortuna.
“All’epoca avevo 14 anni, ero alle prime sessioni di allenamento con la prima squadra. Lui era stato l’acquisto più costoso nella storia della Lazio e quel giorno stavamo lavorando a campo ridotto. Mi fece un paio di brutti falli ma io, essendo un giovane, non dissi una parola e continuai a giocare. Ad un certo punto ho provato a fermarlo con un tackle un po’ troppo duro e gli causai la frattura di tibia e perone. Nessuno mi disse niente e Paul, una volta tornato dall’intervento alla gamba mi tranquillizzò dicendo che non era colpa mia e mi diede cinque paia di scarpe e un kit da pesca. Non ho idea del perché del gesto, ma era proprio da lui”.
Debutta in prima squadra pochi giorni prima di compiere il suo diciottesimo compleanno,  a Udine, dove subentra a Casiraghi a pochi minuti dalla fine.
Non si tira mai indietro il ragazzino, entra forte anche in allenamento, nonostante i compagni si lamentino. Gli hanno insegnato che solo se ti alleni duramente, puoi diventare qualcuno. In partita sei quello che fai in allenamento, e il Sandro della partita è lo stesso dell’allenamento.  Nella stagione 97-98 arriva il primo trofeo, la coppa Italia, in finale contro il Milan. E’ proprio suo il gol decisivo. Disputa un’altra finale, nello stesso anno, quella di coppa Uefa contro l’Inter.  A Parigi si incontrano l’attaccante più forte del mondo e quello che viene considerato il difensore più forte del mondo. Ronaldo contro Nesta.  Vincerà l’Inter per tre a zero. Il ragazzo rasato è troppo forte, ma Sandro non si tira mai indietro. Perde la sfida a testa alta. E nel momento in cui il brasiliano inizia ad esagerare con i numeri, non perde un attimo per fargli capire che è meglio se la smette.  Le stagioni 98-99 e 99-00 sono stagioni importanti per la sua Lazio. Nella prima arriva la coppa delle coppe contro il Maiorca  e la super coppa Europea contro il Manchester United. In quella successiva il double, campionato e coppa Italia.

Una storia d’amore con la Lazio che sarebbe andata avanti all’eternità, ma i problemi economici obbligano il presidente Cragnotti a vendere il gioiello della squadra, nell’estate del 2002. Così Alessandro dopo essersi allenato la mattina a Formello, si sentì dire che era stato venduto al Milan. La sera stessa si trovò a San Siro davanti a sessantamila persone che gli davano il benvenuto.  Formerà  con Maldini una delle coppie difensive più forti che si siano mai viste su un campo di calcio. Nascerà con Andra Pirlo un’amicizia bellissima, compagni di camera per nove anni. Passavano il tempo libero a sfidarsi  alla playstation. Prima Milan – Juventus ( Pirlo faceva il Milan, Nesta la Juve) e poi Barcellona – Barcellona, perché a detta di Nesta, Eto’o era troppo forte e per evitare polemiche decisero di utilizzarlo entrambi.
La prima stagione è trionfale. E’ un grande Milan quello, il Milan che si aggiudica la finale di Champions League tutta italiana contro la Juventus. Viene decisa ai rigori. Sandro è il quarto,  il risultato è di uno a uno,  il quarto della Juventus, Montero, ha sbagliato, Nesta ha la possibilità di portare il Milan in vantaggio. Tira un rigore a mezza altezza alla sinistra di Buffon, Gigi intuisce, ma per qualche millimetro non ci arriva. Gol. Un urlo liberatorio. Sappiamo tutti com’è andata a finire.
In quell’anno arriva anche la coppa Italia, vinta in finale contro la Roma. La stagione successiva  è quella del primo campionato con la maglia del diavolo e della super coppa Europea.  Un inizio coi fiocchi, ma quando il calcio ti da così tanto poi inizia a toglierti tutto.
La tragedia arriva nel maggio del 2005. La finale contro il Liverpool è una di quelle cose che fatichi a spiegare tu che non l’hai giocata, figurarsi chi era in campo. Il 2006 è l’anno del mondiale, non ha mai avuto un buon rapporto con la maglia azzurra Sandro.
Da bambino per i mondiali di Italia 90, era nella lista dei ragazzini  che potevano essere sorteggiati per fare i raccattapalle, una di quelle cose che ti fa sognare, lui non venne sorteggiato. Nel 98, dove doveva dimostrare di essere uno dei più forti si ruppe il ginocchio e nel 2002 un piede che si gonfiava continuamente gli impedì di giocare. La sua personalissima sfiga lo perseguita, nella terza partita del girone, contro la Repubblica Ceca si ferma ancora. Si tocca la gamba, esce. Il suo sguardo dice tutto, non è possibile. Non ancora. Non può andare sempre così. Tre mondiali su tre saltati.  Al suo posto entrerà Marco Materazzi, uno dei più decisivi in quel torneo.
Diventa campione del mondo Nesta, lo diventa dalla tribuna, guardando i suoi compagni distruggere ogni squadra. No, non è bello vincere così, non è bello diventare campione del mondo senza dare il proprio contributo. Possono dire quello che vogliono, che si vince tutti insieme, che tutti sono importanti, ma la verità è che  se la tua squadra vince e tu non hai giocato, non ti sentirai mai addosso quella vittoria. I problemi fisici lo seguono ancora,  nella stagione successiva. Si ferma di nuovo, è la spalla questa volta ed è grave. Prende una decisione coraggiosa, andare a Miami a curarsi. I titoli su di lui sono infiniti, ci si aspetta di vederlo stravaccato in spiaggia a godersi il mare, viene criticato per quella scelta, ma lui non risponde. Si prende il suo tempo, si fa curare dai medici migliori  e nel momento giusto si ripresenta, e lo fa alla grande.

Il destino permette al Milan di prendersi la rivincita contro i Reds, i ragazzi di Ancelotti  non si fanno pregare. Sandro gioca una partita impeccabile, il Milan vince due a uno.  Le immagini più belle della serata sono quelle che mostrano il ragazzo ridere e scherzare con Maldini e Ancelotti, prima di salire in tribuna per sollevare la coppa.  Vince anche la super coppa Europea e segna uno dei quattro gol nella finale Intercontinentale contro il Boca Juniors. Vince nel 2011 il suo secondo campionato, lascia il Milan e il calcio italiano nel maggio dell’anno seguente. In una giornata tragica per i tifosi rossoneri, che nello stesso giorno dovettero salutare oltre a Sandro, anche Inzaghi, Seedorf e Gattuso.  Finisce la carriera in Canada e in India.
Non è stato uno da copertine,  non gli è mai piaciuto parlare troppo. Nonostante già dalla giovane età venisse accreditato come uno dei migliori al mondo nel suo ruolo, e il suo cartellino valesse già tantissimo. E’ stato uno di quei professionisti che preferiscono parlare con i piedi, sul campo, tramite le prestazioni. E’ stato cresciuto a pane, pallone, Lazio e umiltà.  Da bambino dopo la partita andava sempre dal padre a chiedere come avesse giocato, e se la prestazione era stata positiva come premio arrivavano tre mila lire. Il prezzo di un gelato. Un padre che lo ha accompagnato ad ogni allenamento, ad ogni partita, con una costanza che solo un genitore può avere. Dietro ad un uomo ed un campione del genere, non poteva che esserci  famiglia immensa.

Quello che era in grado di fare in campo è lampante, oltre alle eccelse capacità difensive era uno dei pochi difensori al mondo che avrebbe potuto giocare in qualsiasi altra posizione, grazie alle sue capacità tecniche. Quello che lo rendeva insuperabile era il fatto che, anche quando il pallone era nei piedi dell’attaccante, lui aveva in mano la situazione. Come se avesse una sorta di campo di magnetico intorno a lui, nei contrasti, nelle scivolate, la sensazione è che la palla andasse dove decideva lui. Era dotato di un tempismo e di una coordinazione dei migliori attaccanti. Ha cambiato la concezione del ruolo di difensore come il ruolo per piedi non educati e uomini bruti. Nesta era di un’eleganza che ti faceva venir voglia di fare il difensore, fermava gli avversari con la stessa bellezza di una punizione a giro che finisce sotto l’incrocio.
Il suo pezzo forte era la scivolata. Tre tipi di scivolata, quella per vincere un rimpallo o allontanare la palla in rimessa laterale o in calcio d’angolo, la scivolata  per fermare l’avversario tenendo il pallone vicino e rialzarsi con una reattività felina e l’ultima, la specialità. Ovvero quando Nesta, aveva scelto talmente bene il tempo che scivolando, oltre a fermare l’avversario faceva in modo che la palla arrivasse sui piedi del suo compagno. Trasformare l’azione da difensiva a offensiva con un solo intervento, no, non è roba da tutti.  Quando c’era non lo sentivi, ma se mancava te ne accorgevi eccome. Con lui in campo le squadre subivano il 30% in meno dei gol.
Anche un certo Messi ha avuto vita difficile con di lui.

E’ sempre stato corretto Nesta, come ci ricorda anche Zlatan Ibrahimovic, che in un intervista ha parlato dei trattamenti che i difensori gli hanno riservato durante la sua carriera:
“Alcuni difensori cercano di buttarmi giù moralmente o mi aggrediscono fisicamente per cercare di incutere timore. Alcuni insultano la mia famiglia, altri mi chiamano “zingaro”. Il segreto di un attaccante è però quello di concentrarsi esclusivamente nel gioco, non badare a quello che si sente. Quando i difensori si comportano così è perché hanno paura, sono consapevoli di essere inferiori e ricorrono a questi escamotage. Ma non tutti sono così, Maldini e Nesta non lo erano. Li rispetto molto per questo e anche perché con loro era sempre difficile prevalere.“
Ora i giovani difensori  vengono paragonati a lui, e se vieni utilizzato come termine di paragone significa che incarni l’ideale del calciatore più forte in quel ruolo.
Temo che per molti anni Sandro rimarrà il difensore col quale verranno paragonati i nuovi talenti, la frase “ricorda Nesta” la sentiremo ancora tante volte.
Ci sarà mai qualcuno in grado di ESSERE come Nesta?

 

Articolo di: Gezim Qadraku

calcio25/10/2015 • 20:27
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