Nella notte è partito l’attacco della Russia all’Ucraina, bombardata anche Kiev dove risiede Roberto De Zerbi. Lui e tutta la squadra dello Shakhtar Donetsk sono rimasti bloccati in un hotel a Kiev, senza possibilità di uscire e di tornare a casa. Il tecnico italiano intervistato dall’agenzia di stampa Italpress, ha fatto il punto della situazione.
De Zerbi: “Svegliati dalle bombe”
“Sto in camera, è una brutta giornata – comincia così l’intervista di De Zerbi -. Ho aspettato a lungo che la federazione sospendesse il campionato, fin da quando è successo quel che è successo col Donbass però non mi sono mosso, perché io sono qui per fare sport e non potevo girare le spalle al campionato, ai tifosi che ci seguono. Ho tredici ragazzi brasiliani e il mio staff, potevamo tornare a casa almeno fino a quando non ci fosse stata sicurezza, ma no, abbiamo aspettato e stanotte ci hanno svegliato le esplosioni. Stamattina hanno sospeso il campionato e dalle finestre dell’hotel Opera abbiamo visto file di auto che si muovevano, credo stessero andando in Polonia”.
De Zerbi spiega il motivo della sua permanenza a Kiev: L’Ambasciata italiana ci aveva sollecitato ad andarcene ma non potevo, ripeto, io uomo di sport, girare le spalle al club, al calcio e andarmene così. E alla fine hanno chiuso lo spazio aereo e si sta qui: non credo che siamo a rischio, almeno per ora. Sono venuto qui per fare sport, davvero, e mi armo di pazienza. Non sono venuto per soldi, me ne offrivano di più in Italia, ma per fare esperienza …E ora aspetto. È un’esperienza – triste – anche questa. Penso al grande Maradona che quando ce n’era bisogno diceva quel che pensava ai padroni del calcio”.
De Zerbi: “Rifarei le stesse scelte”
Il tecnico ex Sassuolo ha parlato anche a Sky: “Siamo tutti in hotel, la situazione è precipitata da stamattina. Fino a ieri sera siamo rimasti che il campionato sarebbe dovuto ripartire e così non è stato. Ci siamo svegliati in malo modo con delle esplosioni. Stiamo bene, la situazione è tesa perché c’è preoccupazione. Cerchiamo di avere contatti con le nostre ambasciate per capire il da farsi. L’Ambasciata italiana è stata correttissima e tempestiva, il console italiano ci sta dando grande sostegno e vicinanza. Non era nostra intenzione fare gli eroi, siamo qui per fare il nostro lavoro che è il calcio, ma abbiamo giocatori che hanno già vissuto il 2014 nel Donbass. Finché il campionato non fosse stato sospeso trovavamo ingiusto partire. Rifarei la stessa scelta, ora la situazione è diversa e il calcio è sospeso. Stiamo cercando il modo per andare via“.
Quando il giornalista gli chiede se ha paura, De Zerbi risponde: “No, ma le preoccupazioni sono tante, mi preme di più per la mia famiglia che è a casa ed è preoccupata così come le famiglie dei giocatori. Loro mi vedono come quello più grande che dovrebbe tutelarli ma adesso faccio fatica io stesso a dirgli cosa fare, alcuni sono molto giovani”. Sulla questione politica non si è voluto sbilanciare: “Non faccio il politico e non intendo farlo, farò calcio finché ho la possibilità di farlo perché è la mia vita. Per il resto guardo da cittadino, non da uomo di calcio. Tutto questo riguarda la gente normale. La cosa brutta è che ci sono due gruppi di giocatori, gli ucraini sono le vere vittime. Noi andremo via, loro invece restano qui e sono colpiti in prima persona. Questo mi tocca molto. Nell’altro gruppo ci sono ragazzi molto giovani in balia degli eventi”.