Al termine di un Mondiale atipico, conquistato dall’Argentina, è tempo di analisi. Tra esordi deludenti e ultimi balli falliti: la flop 11 di Qatar 2022 Con la finale di ieri, vinta dall’Argentina di Lionel Messi, si è concluso il campionato del Mondo. Un Mondiale, quello di Qatar 2022, iniziato tra dubbi e perplessità ma che alla fine si è rivelato all’insegna dello spettacolo. A dispetto di gloriose pagine di sport, su tutte il primo trionfo mondiale della Pulga e la straordinaria cavalcata del Marocco, diverse sono state le delusioni del torneo. Di seguito la flop 11 di Qatar 2022:
PORTIERE E DIFESA
Milan Borjan (Canada): non il portiere più battuto del torneo ma, probabilmente, quello che ha mostrato maggiori incertezze. L’errore al terzo minuto del match contro il Marocco – un’assist al bacio, seppur involontario, per Ziyech – è una delle leggerezze più clamorose di Qatar 2022.
Matthijs de Ligt (Olanda): una sola presenza, con tanto di ammonizione, nel match d’esordio degli Oranges contro il Senegal. Lecito, alla luce del blasone del giocatore, dedurre che la maggiore responsabilità del suo scarso impiego sia del tecnico Louis Van Gaal. Tuttavia, quando un classe ’99 ha già vestito le maglie di Ajax, Juventus e Bayern Monaco (affare, quest’ultimo, da 67 milioni di euro) e l’allenatore gli preferisce un terzino adattato a centrale con 8 presenze ufficiali in nazionale, un minimo di responsabilità ce lo deve avere anche lui. Dopotutto Van Gaal è un osso duro, il Mondiale è breve e la fiducia va guadagnata sul campo, non sul curriculum.
Boualem Khoukhi/Pedro Miguel (Qatar): difensori classe ’90, campioni d’Asia nel 2019 e leader della retroguardia del Qatar. Difficile, prima dell’inizio del Mondiale, aspettarsi solidità difensiva dalla nazionale padrona di casa. Eppure, tra esperienza sul campo e una crescita calcistica avvenuta in Europa, dai due veterani ci saremmo quantomeno aspettati più carattere.
Oscar Duarte (Costa Rica): 33 anni, una carriera in Europa, un Mondiale alle spalle (Brasile 2014: primo posto nel girone e un gol all’attivo). Si tratta probabilmente della delusione più grande della retroguardia costaricana. Gli 11 gol subiti in 3 partite, che fanno della sua nazionale la più battuta del torneo e che vanno divisi tra tutti i componenti del pacchetto difensivo, passano anche dai suoi errori.
CENTROCAMPO
Kevin de Bruyne (Belgio): superfluo spendere parole sulle sue qualità. Superfluo, però, spenderne anche sul suo Mondiale. Mancano le sue fiammate, le sue geometrie, la sua testa. Svogliato, inerme e incapace di prendere per mano i suoi. Meriterà pure la laurea a honorem per quanto dimostrato in carriera ma, quello che probabilmente è stato il suo ultimo Mondiale, si traduce in una delusione clamorosa.
Joshua Kimmich (Germania): motore instancabile del Bayern Monaco e da anni perno della mediana della nazionale teutonica. Così in breve si può riassumere l’identikit calcistico del classe ’95 tedesco. La nazionale di Flick delude a 360 gradi ma, alla luce di una leadership sempre più solida, da lui era legittimo aspettarsi un Mondiale di spessore. Macchinoso, superficiale e spesso assente. Da lui ci si aspettava molto di più.
Pedri (Spagna): di lui si è parlato, si parla e si parlerà a lungo. Universalmente riconosciuto come uno dei prospetti di maggior talento del calcio internazionale. Era chiamato, a dispetto dei suoi 20 anni e dell’eterno Busquets al suo fianco, a un Mondiale da protagonista. Il talento del Barcellona non incide, non incanta e dialoga poco con i compagni di reparto. Probabilmente c’è chi ha fatto peggio di lui ma, quando le aspettative sono così alte, più alto è il prezzo da pagare quando queste vengono disattese.
Filip Kostic (Serbia): non il giocatore più atteso della sua nazionale ma al netto di un’eliminazione ai gironi, Milinkovic Savic, Tadic e Vlahovic hanno comunque lasciato una piccola traccia del loro passaggio, cosa che invece non è riuscita a fare l’ala della Juventus. Rivelatosi una delle note più positive bianconere, sebbene abbia sofferto l’impatto iniziale con la serie A, rimane in panchina contro il Brasile per poi giocare titolare contro Camerun e Svizzera. Non pervenute le sue sgroppate, l’ex Eintracht in Qatar è apparso timido e decisamente poco incisivo.
ATTACCO
Darwin Nunez (Uruguay): pronti, via, e gerarchie subito messe in chiaro. Darwin guida l’attacco della nazionale senza se e senza ma, con la conseguente staffetta tra Cavani e Suarez. Eppure l’ex Benfica non centra mai la porta e non fa nulla per convincere Diego Alonso di aver preso la decisione giusta. Un Mondiale sfortunato per l’Uruguay, che nei momenti di difficoltà può contare però sui polmoni di Valverde e sulla freddezza di De Arrascaeta. Da quello che si presentava come il futuro leader della nazionale, era lecito aspettarsi tanto. Di lui, invece, questo Mondiale ha avuto poco, troppo poco.
Hirving Lozano (Messico): in questa prima parte di stagione, con la maglia del Napoli, si è imposto come uno dei giocatori più determinanti del campionato. Non sarà una macchina da gol, ma le sue cavalcate hanno mandato in tilt le difese di mezza Serie A e non solo. Eppure il suo Mondiale è l’equivalente di un compito a scuola copiato male dal più bravo della classe. Prova a fare quello che gli riesce meglio ma, complice una nazionale che sicuramente non ha il ritmo del Napoli e una condizione non esaltante, il Lozano che l’Italia ha imparato ad ammirare sparisce del tutto nei meandri di un egoismo superfluo per lui e per i suoi compagni. Prima donna, forse un po’ troppo.
Cristiano Ronaldo (Portogallo): la delusione più amara di Qatar 2022. Si presenta con un gol dal dischetto contro il Ghana, quindi la rabbia per il gol assegnato a Bruno Fernandes e non a lui contro l’Uruguay e, poco o niente, nell’ultima del girone contro la Corea del Sud. Da lì la parabola discendente del suo Mondiale: panchina contro la Svizzera, asfaltata dal Portogallo per 6-1. La successiva bocciatura contro il Marocco, però, assume sempre più i contorni di un ultimo ballo all’insegna dell’amarezza. La parola fine su una carriera (in nazionale e praticamente anche nel calcio europeo) la scrive proprio Cristiano nei 40 minuti di disperazione che Santos gli concede contro la rivelazione africana. Tutto molto poco, tutto molto triste. Oltretutto il suo rivale di una vita si laurea campione del Mondo e lo stacca, semmai ci fossero stati dubbi, nell’eterna sfida a distanza Messi-Cr7.