L'ex centrocampista ci ha parlato del suo trascorso da calciatore e delle sue esperienze da allenatore nelle giovanili azzurre, alla Sampdoria e come collaboratore alla Juventus.
Ciao Roberto, partiamo dalla Sampdoria: che esperienza è stata e cosa hai in programma adesso?
È stata un'esperienza positiva nonostante l'epilogo. Non essendo stato io l'allenatore capo ma il vice sono sempre restio a parlare per conto di... Però posso dire che è stata una bella esperienza perché ho imparato molto. Sicuramente ci sono stati degli errori che vanno migliorati. La metto tra le esperienze importanti del mio bagaglio personale, spero ce ne saranno altre più positive. Comunque è stato un onore far parte di una società così gloriosa e importante come la Sampdoria. Futuro? Al momento con lo staff ci stiamo rilassando e vedendo tante partite, in attesa che a mister Pirlo arrivino proposte, anche dall'estero. Siamo in attesa...
La tua amicizia con Pirlo nasce dalle giovanili del Brescia e dura da quasi 30 anni. Eppure solitamente si dice che è difficile mantenere i rapporti nel mondo del calcio. Ci spieghi com’è nato questo rapporto e come fa a durare?
Sì è vero, nel calcio è difficile mantenere i rapporti ma noi ci conosciamo da quando eravamo piccoli. Veniamo da due paesini della provincia di Brescia, abbiamo iniziato a giocare insieme, siamo cresciuti e diventati grandi insieme. La nostra è più di un'amicizia. Anche le nostre famiglie sono diventate amiche. Mentre io già allenavo le giovanili, lui ancora giocava a New York e mi diceva sempre che quando avrebbe smesso di giocare avrebbe voluto allenare con me. Quando poi è stato ingaggiato come allenatore della Juventus under 23, prima che venisse promosso in prima squadra, io l'ho seguito iniziando un nuovo percorso da collaboratore e successivamente da vice. Il nostro non è un rapporto normale tra due collaboratori ma è un rapporto d'amicizia basato sull'affetto reciproco che va oltre il lavoro. Vedremo se in futuro continueremo a lavorare insieme perché la vita è imprevedibile, ma l'amicizia rimarrà sempre al di là delle scelte professionali.
Negli anni ‘90 eri tra i giovani più promettenti del calcio italiano al pari di Pirlo. Cosa ti è mancato per diventare un top player nonostante le indubbie qualità?
Crescendo si capisce dove si è sbagliato e dove si è fatto meglio. Per diventare un campione, come lo è stato Andrea, lo devi avere dentro e devi saperlo sviluppare perché non sempre il giovane talentuoso diventa poi un campione. Io sicuramente avevo un buon potenziale, riconosciuto un po' da tutti, ma poi c'è stata una frenata dipesa da tante cose. Probabilmente il mio talento poteva arrivare fino a un certo punto perché poi subentra la questione mentale. Non credo nella sfortuna, penso che la mia genetica, la mia indole e tutto ciò che comporta l'evoluzione di un calciatore, non erano pari a quelle, ad esempio, di Andrea. Penso che il grande calciatore, oltre alle doti tecniche, necessiti di doti mentali che può sviluppare prima o dopo. Quando si incanalano le qualità tattiche, tecniche e mentali diventi un top player. Io ho avuto altri compagni in Nazionale, come Perrotta e Gattuso, che pur avendo caratteristiche differenti da Pirlo, grazie alla testa, al fisico e alla personalità sono diventati grandi giocatori. Sicuramente ho fatto degli errori, potevo fare meglio rispetto alla mia carriera che è stata normale. Ho dei rimpianti per delle scelte passate ma sono sereno perché probabilmente doveva andare così. Non tutto è dipeso da me, ma da tanti fattori come allenatori, società, scelte importanti che ti portano a diventare o a non diventare... Fino a un certo punto sono stato su buoni livelli, poi mi sono allineato sulla normalità.
Nel ‘96 inizia la tua storia d’amore tra alti e bassi con la Lazio, dove però vinci praticamente tutto chiudendo nel 2010 con la vittoria della Supercoppa Italiana contro l’Inter di Mourinho. Cosa hanno rappresentato per te i biancocelesti?
Il nostro cordone ombelicale è iniziato nel '96 ed è rimasto intatto fino alla fine del contratto. Io ho girato tanto perché volevo giocare, mettendo in secondo piano il lato economico. Ogni volta che ho lasciato la Lazio in prestito mi sono tolto dei soldi pur di giocare. Quando sono andato alla Reggina ho rinunciato a vincere lo scudetto, però è stato un enorme piacere vestire i colori amaranto. Con la Lazio c'è stato un bellissimo rapporto: con la prima proprietà di Cragnotti ho giocato poco ma ho vinto tanto perché era una squadra di campioni. Sono stato poco protagonista ma non posso darmi colpe perché in quella squadra c'erano giocatori del calibro di Stankovic, Simeone, Veron, Almeyda, Dino Baggio. Era una squadra allestita per vincere e imporsi da titolare era difficile, per quel motivo cercavo una scorciatoia per giocare altrove. Poi c'è stata la seconda proprietà, quella di Lotito, dove io sono rientrato a Roma dopo due anni al Chievo e si è fatto bene. Ho vissuto due epoche totalmente diverse ma rimane un profondo affetto per questa squadra, questo club e questi tifosi che mi hanno dato più di quanto io ho dato a loro.
Com'è Lotito?
È un grande lavoratore che tende a esprimersi in maniera diretta rispetto ad altri presidenti. Va valutato per quello che ha fatto alla Lazio: ha dato una grossa mano quando la società era in grosse difficoltà e poi ha fatto il suo. Ero in buoni rapporti quando giocavo, poi alla fine non ci siamo lasciati benissimo perché mi aveva fatto delle promesse che non ha mantenuto ma ormai è storia passata.
A Reggio Calabria, a Firenze e a Verona sponda Chievo le tue stagioni migliori. Che ricordi ti porti di queste esperienze?
Ricordo tutte le mie esperienze. L'anno di Reggio è stato molto particolare perché andavo in una squadra neopromossa che era al suo primo anno di Serie A dopo tantissimi anni. C'era grande entusiasmo in città, lo stadio era sempre pieno, ho vissuto momenti bellissimi. Ricordo molto volentieri anche l'esperienza a Firenze nonostante i problemi societari e ricordo i due anni al Chievo dove ho trovato un gruppo fantastico mai come prima. Uscivamo spesso coi compagni, anche in settimana, c'era grande complicità e amicizia tra di noi. Ho un bel ricordo di tutte le mie esperienze, anche quelle meno positive perché fanno parte della vita.
Sei stato allenato da tre grandi allenatori come Zeman, Eriksson e Mancini. Com'è stato essere allenato da loro?
Sono stato allenato anche da altri grandi come Franco Colomba, Serse Cosmi, Francesco Guidolin ma voglio spendere due parole su Mircea Lucescu che è stato il primo a credere in me. Era un allenatore all'avanguardia per l'epoca, perché tutto quello che ho vissuto dopo nella mia carriera, l'avevo già imparato prima con lui. Aveva idee innovative come il 3-5-2 con gli esterni molto alti, l'impostazione a 3 con il play, la costruzione dal basso, tutte cose che lui faceva a Brescia nei primi anni '90 che sono poi state utilizzate nel calcio anni dopo. Ha fatto una grandissima carriera ma avrebbe meritato di più. Gli altri che hai citato sono stati grandi allenatori, Mancini lo è tuttora, con stile e vedute diverse che nelle varie epoche hanno fatto storia. Zeman a cavallo degli anni 90-2000, poi il grande Eriksson che ha fatto della gentilezza il suo mood e infine Mancini che iniziò con noi alla Fiorentina per poi continuare con la Lazio e vincere all'Inter e all'estero. Sono stati tre grandi allenatori che hanno fatto la storia del nostro calcio.
Ma gli allenamenti di Zeman erano davvero così pesanti?
Sì, erano molto duri. Ho parlato anche con ragazzi che l'hanno avuto negli ultimi anni a Pescara o a Foggia e faceva gli stessi allenamenti che faceva con noi nel '96. Non ha mai vinto grandi trofei ma ha fatto una carriera importante. Ricordo ancora i primi giorni di ritiro alla Lazio che erano devastanti: io e altri compagni vomitavamo per la fatica ma a lui non importava, ci diceva di finire di vomitare e riprendere a correre (ride, ndr). All'epoca avevo 17 anni e non pensavo di poter resistere ai 21 giorni di ritiro in quel piccolo paese della Repubblica Ceca. Alla fine sono sopravvissuto ma è stata davvero tosta.
Hai iniziato la tua carriera da allenatore dalle giovanili azzurre in cui c’erano Bastoni, Dimarco, Chiesa, Barella e Locatelli. Chi ti aveva colpito di più e sapevi sarebbe esploso?
Il giovane forte lo noti subito. Io ho avuto la fortuna di allenare l'Italia under 18 e 19 e ho visto ragazzi dalle grandi qualità, ma in quel momento non sai a che livello possono arrivare perché poi subentra quell'aspetto mentale di cui ti parlavo prima. Ad esempio Daniel Maldini, che ho visto quando giocava nella Primavera del Milan, ha espresso il suo valore un po' più tardi rispetto ai suoi coetanei. Poi per quanto riguarda Barella, Locatelli, Bastoni, Cutrone, Zaniolo, Pinamonti avevano già tanto talento e si sapeva che avrebbero giocato tra i professionisti. Erano tutti bravi ragazzi però voglio menzionare su tutti Matteo Gabbia che non spiccava nelle giovanili ma con grande impegno, costanza e dedizione è riuscito a emergere. Ho sempre pensato che potesse arrivare a diventare un grande calciatore grazie alla sua dedizione, comportamento, educazione. Ragazzo gentilissimo, piacevole e molto intelligente. L'esperienza al Villareal gli ha fatto bene e sta dimostrando di essere da Milan.
Nella stagione 2020-2021 fai parte dello staff della Juventus guidata da Pirlo. Arrivate quarti e vincete Supercoppa e Coppa Italia. Pensavate di meritare la conferma e come mai non c’è stata?
Come ti ho detto prima per la Samp, non voglio entrare nei particolari perché lì non ero neanche il vice ma ero un semplice collaboratore. Io e Pirlo eravamo stati chiamati per allenare l'under 23, poi la Juve perse col Lione, Sarri venne esonerato e la società decise di far salire Andrea. Mi sono ritrovato di colpo dalle giovanili ad allenare grandissimi campioni come Bonucci, Chiellini, Danilo, Dybala, Cristiano Ronaldo e ho ritrovato Buffon con cui avevo giocato nelle giovanili. È stato un sogno vivere l'esperienza Juventus. Peccato che era il post covid, con gli stadi ancora chiusi, non abbiamo vissuto la gente, abbiamo toccato il Paradiso ma non al completo. È stato un piccolo peccato perché viverlo con i tifosi sarebbe stato il massimo, però mi ritengo fortunato per aver fatto parte della Juventus per un anno. Altresì sono orgoglioso di aver raggiunto la Champions League e due trofei grazie al mister e alla società. Sono orgoglioso di aver contribuito in piccola parte alla storia della Juve.
Com’è avere a che fare con Cristiano Ronaldo nel quotidiano?
Si pensa sia difficile gestirlo, invece è un professionista esemplare, rispettoso dei ruoli: dall'allenatore al magazziniere. Quando era alla Juve si è sempre allenato al 100%. Girava voce che saltasse gli allenamenti quando non gli andava, invece non abbiamo mai avuto problemi con lui. Non ha mai saltato un allenamento, se non per problemi fisici ovviamente. Fisicamente e mentalmente è una macchina. Sono orgoglioso di aver incontrato un personaggio del genere perché come Messi non è paragonabile a nessun altro campione. Anzi c'è un italiano che paragono a quei due ed è Buffon che nel suo ruolo è stato un mostro. L'ho conosciuto da piccolo nel Torneo di Viareggio quando lui giocava a Parma ed è rimasto sempre lo stesso ma calcisticamente è diventato tra i portieri più forti al mondo. Alla Juve ho vissuto un'esperienza stupenda che mai avrei immaginato di vivere e che invece la vita fortunatamente mi ha regalato.
Chi vince lo scudetto e quale sarà la squadra rivelazione della stagione?
Dico Inter, Juve, Milan e rispetto alla scorsa stagione aggiungo il Napoli perché ha un allenatore che sa far vincere le proprie squadre. Per la lotta Champions dico Atalanta e spero nella Lazio per l'affetto che mi lega al club.
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