512 partite disputate tra Atalanta, Juventus, Villareal e Brescia. Una carriera scandita in gran parte dai colori bianconeri, con cui ha conquistato cinque scudetti, una Coppa Italia, quattro Supercoppe Italiane, una Champions League, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa Europea e una Coppa Intertoto. Intervistato da Chiamarsi Bomber, Alessio Tacchinardi si è raccontato ripercorrendo alcuni dei momenti più importanti della sua carriera.
11 anni in bianconero: quanto ti ha dato questa esperienza? Chi è passato dalla Juve parla di un impatto con una realtà in cui vincere era l'abitudine. Era davvero così?
"Vestire la maglia della Juventus è stato motivo di grande orgoglio, è la squadra di cui ero tifoso da bambino e andavo a vederla con mio padre allo stadio. Ho trovato un ambiente perfetto per me, un ragazzo che voleva arrivare e che aveva fame e voglia di mettersi in gioco con umiltà e spirito di sacrificio. Ho avuto la fortuna di arrivare in una società perfetta da questo punto di vista, che mi ha permesso di migliorare giorno dopo giorno. Si respirava questa esigenza di vittorie, il pareggio era visto come una mezza sconfitta e questo, unito alla qualità e al carattere dei giocatori, ti portava a dare tutto e a spingere il motore al massimo".
Tre finali di Champions tra il '96 e il '98 e una semifinale nel '99, poi un'altra finale nel 2003. A cosa era dovuta questa continuità in Europa e cosa serve oggi alla Juve per tornare a sognare la Champions?
"C'erano una grande società, un gruppo solido e un grande allenatore. Come in tutti gli sport si può vincere e si può perdere ma la cosa importante è rimanere sempre sul pezzo. Probabilmente, il segreto di quella continuità era la fame che si respirava all'interno dello spogliatoio. C'era una mentalità vincente: un meccanismo perfetto sia in allenamento che nei vari aspetti della quotidianità, dall'alimentazione alla gestione delle energie e della pressione. Oggi le cose sono cambiate, ma vedo una Juve a cui Tudor può dare qualcosa in più. Credo che sia il profilo perfetto, lui sa come si vince e come ottenere risultati importanti. Chiaramente dovrà riuscire a portare all'interno dell'ambiente quella juventinità che un po' si era persa".
Finali perse nel '97, '98 e 2003: cosa è mancato? Quanto ha inciso l'assenza di Nedved nella finale contro il Milan?
"Ci sono società con un Dna costruito per vincere lo scudetto, tra queste la Juventus, e altre costruite per la Champions, su tutte il Real Madrid. Chiaramente gli episodi fanno la differenza, basti pensare al gol di Sergio Ramos nella finale contro l'Atletico Madrid (2013-2014, ndr), che pareggia in extremis una partita che sembrava persa. Poi ai supplementari il Real ha vinto con grande merito. Nel 2003 abbiamo vinto 3-1 contro il Real: nel finale Nedved ha commesso una leggerezza, è stato ammonito e ha saltato la finale. Poi, dalla stagione successiva, è stata cambiata la regola sui diffidati. Non è un alibi ma, probabilmente, se Pavel avesse giocato contro il Milan le cose sarebbero potute andare diversamente. Ad ogni modo, nelle varie finali che ha giocato, alla Juve non è mai andata bene in termini di episodi".
Hai giocato con Del Piero, Nedved, Zidane, Riquelme: chi ti ha impressionato di più sia tecnicamente che in termini di leadership?
"Su tutti penso a Gianluca Vialli. Non era solo un grande attaccante, ma aveva un carisma unico e una grandissima personalità. In termini di leadership, per distacco, era il numero uno e l'ha dimostrato anche quando ha attraversato la fase della malattia: una persona apprezzata da tutti sia dentro che fuori dal campo, anche in Nazionale. Poi, sotto l'aspetto tecnico, ho avuto la fortuna di giocare con grandissimi campioni: tra questi Del Piero, Nedved, Zidane, Riquelme, Ibrahimovic, Trezeguet. Un'altra figura molto importante per me è stata Ciro Ferrara, così come Ravanelli e Deschamps, compagni che sapevano sempre sostenerti nei momenti di difficoltà".
La figura di Marcello Lippi: che rapporto avevi con lui? Ci racconti qualche aneddoto che lo riguarda?
"Marcello Lippi è stato un grandissimo allenatore e sono stato molto fortunato ad averlo come tecnico. Quando un allenatore sposa pienamente il progetto di un club ambizioso come la Juve non può che far bene. A Lippi importava poco dell'età, io e Del Piero avevamo 18 e 19 anni e avevamo la stessa considerazione di tutti gli altri. Giocava chi stava meglio e chi si allenava in un certo modo. Per me è stato molto importante, con lui ho vissuto delle stagioni bellissime. Ricordo un episodio relativo a un Parma-Juve: stavo attraversando un buon momento di forma e mi sentivo molto bene, ma Lippi decise di farmi partire dalla panchina e, sul momento, non la presi bene. A fine primo tempo, sul 2-0 per loro, il mister mi mandò in campo dicendomi: <<entra e cambia la partita>>. Segnai il gol del 2-1 e poi feci l'assist a Inzaghi per il 2-2 finale. Ricordo l'abbraccio intenso con Lippi al fischio finale: riusciva a dare quel qualcosa in più a tutti, anche a chi giocava meno".
Capitolo Villareal, semifinale di Champions League nella stagione 2005-2006: che ricordo hai di quell'esperienza?
"Quando è arrivata la proposta del Villareal ho accettato subito, mi ha sempre entusiasmato l'idea di provare il campionato spagnolo e c'era la possibilità di giocare la Champions League. Rispetto alla Juve era un ambiente completamente diverso, in cui sicuramente ho sentito meno pressione. Ho trascorso due anni meravigliosi e ho conosciuto persone fantastiche sia dentro che fuori dal campo. In squadra c'erano tanti giocatori di qualità, tra cui José Mari, Sorin e Riquelme. Juan Roman aveva un talento immenso, siamo riusciti ad arrivare in semifinale di Champions e magari, se non avesse sbagliato quel rigore contro l'Arsenal, avremmo potuto raggiungere la finale. Sarebbe stata un'impresa ardua contro il Barcellona di Messi, Ronaldinho ed Eto'o, ma mi sarebbe piaciuto giocare un'altra finale di Champions".
Cosa è cambiato alla Juve con l'arrivo di Tudor e come ti spieghi le difficoltà di Thiago Motta?
"Secondo me Thiago Motta è un grande allenatore. Quando allenava il Bologna notavo grande empatia tra lui e la squadra e, quando è arrivato alla Juve, credevo che fosse l'uomo giusto al momento giusto. Il ciclo di Allegri era giunto al termine e cambiare era la cosa migliore. All'inizio le sue idee sembravano aver inciso bene nell'ambiente, poi gradualmente le cose hanno iniziato ad andare male. Quanto alla fascia da capitano credo sia giusto darla a un singolo giocatore, mentre lui ha preferito cambiare tanto anche in questo senso. Lì, a mio avviso, sarebbe stato necessario un intervento da parte della società. Col tempo ho iniziato ad avere la percezione che la squadra non recepisse le richieste di Thiago Motta e che non ci fosse un grande feeling. Poi sono emerse difficoltà tecniche e tattiche anche sul campo e sono arrivate le eliminazioni, meritate, in Champions e in Coppa Italia. Con l'arrivo di Tudor si è iniziato a vedere un altro spirito, un'energia diversa, e, sotto questo aspetto, la squadra sembra essere maggiormente sul pezzo. Igor è molto preparato e conosce bene il mondo Juve, ha portato quell'entusiasmo e quella fiducia di cui c'era bisogno e credo che si sia sentito subito a casa".
Hai esordito in A con l'Atalanta: che effetto fa vederla tra le grandi?
"Ho esordito in Serie A con l'Atalanta, un grande club con cui, nel 1993, ho anche vinto il Torneo di Viareggio: nella circostanza a premiarmi fu Antonio Percassi, che già all'epoca era una figura molto presente all'interno del club. Atalanta tra le grandi? Personalmente questo non mi stupisce, anche se non mi aspettavo che raggiungesse un livello così alto. C'è una grande società alle spalle che ha investito sullo stadio, sul centro sportivo e sulla squadra. A questo si aggiunge un grandissimo allenatore come Gasperini e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. L'Atalanta è terza in campionato, l'anno scorso ha vinto l'Europa League e questo è frutto di un'ottima visione e di una grande ambizione da parte del club".
Un pronostico sulla lotta scudetto e sulla lotta Champions
"Credo che molto dipenderà dall'Inter, che nelle prossime due settimane sarà impegnata in una serie di sfide decisive. Dalla Coppa Italia alla semifinale di Champions contro il Barcellona, con in mezzo il rush finale in campionato, dove il Napoli dovrà essere bravo a rimanere aggrappato. Per esperienza, credo che arrivare in fondo a tutto sia difficile e c'è il rischio di lasciare qualcosa per strada. Faccio i miei complimenti a Inzaghi e ai giocatori per quello che stanno facendo, perché provare a vincere sempre e rimanere costantemente sul pezzo non è semplice. Credo che la stagione dell'Inter stia procedendo su una linea molto sottile e saranno determinanti i prossimi impegni in tutte le competizioni. Ad ogni modo, la sensazione è che la squadra abbia una grande personalità e sappia reggere molto bene la pressione. Per quanto riguarda la lotta Champions credo che la Juve abbia un calendario favorevole: se dovesse vincere contro Parma e Monza metterebbe una seria ipoteca sul quarto posto. A mio avviso anche l'Atalanta ha buone chances di qualificazione alla Champions. Il Bologna ha un grandissimo allenatore e sono convinto che lotterà fino alla fine, con le altre concorrenti un po' più staccate in ottica quarto posto. In questo senso credo che sarà una lotta aperta, con Juve e Atalanta in leggero vantaggio".
Com'è cambiato oggi il ruolo del centrocampista?
"Rispetto a quando giocavo io credo che sia cambiato tanto. Quando sono tornato dalla Spagna è cambiato il mio modo di concepire il ruolo: lì c'era meno attenzione alla fase difensiva e la priorità era coinvolgere tutti, centrocampisti compresi, nella manovra d'attacco. Alla Juve io ero il classico centrocampista davanti alla difesa e in quella squadra c'erano tanti cursori, da Conte e Davids a Zidane. Quando mi spingevo in avanti di qualche metro Lippi me lo faceva notare immediatamente, era fondamentale mantenere l'equilibrio. Oggi questo tipo di centrocampista non esiste più, si nota meno quella voglia di mordere e di correre all'indietro come si vedeva nei vecchi incontristi. Tutto questo è frutto di un'idea di calcio che negli ultimi anni è cambiata notevolmente".
C'è un giocatore in cui oggi ti rivedi?
"Per la prima volta, in Juventus-Lecce, ho visto in Locatelli un giocatore in cui mi rivedo: lavoro sporco, intensità, gioco verticale. Magari prima vedevo un po' meno questa somiglianza, ma nelle ultime partite ho notato qualche aspetto che ci accomuna".
Chi è il calciatore più forte con cui hai giocato?
"Il compagno più forte con cui è giocato è sicuramente Zinedine Zidane: era un giocatore di livello assoluto, quasi irreale, un campione sia dentro che fuori dal campo. Mi dispiace non aver vinto la Champions League con lui: credo che, al di là di quelle conquistate con il Real Madrid (una da calciatore, tre consecutive da allenatore, ndr), ne meritasse qualcuna in più".
L'avversario più forte che hai affrontato?
"L'avversario più forte che ho affrontato è senza dubbio Ronaldo il Fenomeno, ma, al di là della tecnica, il giocatore che mi stimolava maggiormente era il Cholo Simeone. Quelle contro di lui erano sfide di grande intensità, sempre all'insegna del massimo rispetto. Era un giocatore tosto, difficile da affrontare, ho grande stima di Simeone e faccio sempre il tifo per lui".
L'allenatore che ti ha dato di più e quello con cui ti sei trovato meno bene?
"Gli allenatori che mi hanno dato di più sono stati Cesare Prandelli all'Atalanta, Marcello Lippi e Carlo Ancelotti alla Juve. Con loro ho vissuto anni meravigliosi e non smetterò mai di ringraziarli. Il tecnico con cui ho avuto meno feeling è stato Fabio Capello. Lo stimo e lo rispetto per quello che ha fatto nel corso della sua carriera: ha vinto tanto ed è stato un grande allenatore, ma tra tutti è quello con cui ho avuto meno affinità".
Il tuo gol più bello?
"Probabilmente, a livello estetico, i miei gol più belli sono stati quelli in trasferta contro il Basilea (in Champions League, stagione 2002-2003, ndr) e in casa contro il Parma a Buffon (in campionato, stagione 1998-1999, ndr), un mancino da 35 metri sotto la traversa: partita persa per 2-4 e coincisa con le dimissioni di Marcello Lippi".
La tua Top 11
"Modulo 4-3-1-2: in porta metto Gigi Buffon, anche se ho avuto la fortuna di giocare con un altro grandissimo portiere come Angelo Peruzzi. Come terzino destro metto Lilian Thuram, al centro Paolo Montero e Ciro Ferrara, un grandissimo leader sia dentro che fuori dal campo, anche se mi dispiace lasciare fuori un campione come Fabio Cannavaro, e Gianluca Zambrotta a sinistra. Davanti alla difesa metto Didier Deschamps, come mezz'ala destra Pavel Nedved e a sinistra Edgar Davids. Sulla trequarti Zinedine Zidane e in attacco Alex Del Piero e Zlatan Ibrahimovic".
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