Calvarese: "Che errore con Cuadrado, avrei pagato per avere il Var. Arbitro tifoso? Non c'è niente di male"

Terzo appuntamento con il nuovo format targato Chiamarsi Bomber e condotto da Nicolas Lozito, "Remuntada". Ospite di questa punta l'ex arbitro internazionale Gianpaolo Calvarese
tv e social26/03/2024 • 11:00
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Stagione 2024/2025

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Terzo appuntamento con Remuntada, il nuovo podcast di Chiamarsi Bomber condotto dal giornalista Nicolas Lozito. In ogni puntata verrà chiesto agli ospiti come nasce la loro passione per il calcio e per lo sport, e loro ci racconteranno la loro vita ma soprattutto la loro "Remuntada" personale.

 

Dopo le prime due puntate, in cui si sono raccontati Francesco Gullo e Carlo Pellegatti, l'ospite di oggi è Gianpaolo Calvarese, ex arbitro internazionale da oltre 300 partite in Serie A e ora opinionista per le partite di Champions League di Prime Video.

Calvarese si racconta a Remuntada

Questo il resoconto della chiacchierata tra Nicolas Lozito e il protagonista odierno del nuovo format di Chiamarsi Bomber, Gianpaolo Calvarese.

Qual è stata la "Remuntada", nella tua vita?

 

"Bellissimo perché questa è una parola che mi richiama subito il mondo del calcio. Il calcio per me è la mia vita, ho inziato 40 anni fa e per 40 anni tutte le domeniche ho sentito il profumo dell'erba, prima come calciatore: ho giocato, ma a scarsi livelli, ogni arbitro si può dire che è un calciatore mancato, perché non si nasce arbitro; 10 anni di allenamenti, giocavo sulla fascia perché correvo tantissimo ed ero molto veloce, correvo i 100 metri in meno di 11 secondi.

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Poi è arrivata la seconda fase, a 15-16 anni, quella di arbitro: di questo mi rimangono tante cose, sicuramente la bellezza di aver arbitrato in Italia all'estero, ma anche tante sofferenze, perché l'arbitro è una figura strana che non fa sognare i tifosi e va alla ribalta solo quando sbaglia. La mia vita è stata un'intera remuntada, perché io ho avuto tanti bassi, e forse la caratteristica più importante che un arbitro deve avere è la resilienza. Sono stato fermo anche mesi dopo alcuni errori, e l'unico modo che ha un arbitro per migliorarsi è imparare proprio dagli errori che ha commesso: è una continua remuntada, ho visto tanti arbitri fermarsi e non riuscire a ripartire...".

 

Hai detto che non si nasce arbitro, e allora come ci si diventa?

 

"Si diventa arbitri con la passione per il gioco del calcio, ma non per l'arbitraggio. Non ho mai sentito nessuno dire 'Io voglio fare l'arbitro'. Serve grande empatia con i calciatori, è importante dare rispetto anche alla loro emotività. Per chi gioca nelle categorie inferiori in quel momento non esiste Milan-Juve o Liverpool-Manchester, quella partita è l'unica cosa che conta, e la stessa cosa vale per mio figlio di 12 anni, anche se non vado a vederlo, non riesco perché ci sono troppe persone che urlano contro l'arbitro. Io sto sempre dalla parte dell'arbitro".

 

Le regole o il "trucco" più importante se dovessi insegnare a qualcuno a fare l'arbitro?

 

"Non c'è trucco perché gli arbitri devono avere tutti una personalità molto forte ed un grande ego. Parlerei piuttosto di attitudini, e la più grande che un arbitro deve avere è quella di decidere: sei pagato per prendere decisioni, anche impopolari, ma devi avere il coraggio di decidere. Se non riesci ad avere questa cosa di sicuro non puoi fare l'arbitro, è la conditio sine qua non. Intorno poi ci sono vari parametri che invece si possono costruire, come l'atletismo, la conoscenza del regolamento, delle squadre e delle tattiche. Poi per arrivare ad alti livelli serve la passione per quello che si fa: dopo una partita per l'adrenalina si fa fatica a dormire, io mi rivedevo sempre le partite che arbitravo, ero masochista".

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In che senso serve un grande ego? E la personalità? Spiegaci

 

"Partiamo dall'ego: quando entri in un campo di Serie A con 80mila persone che urlano, se non sei abituato fai fatica, soprattutto se sei solo come l'arbitro; è rarissimo che i supporters non ti fischino e se non hai un grande ego è difficile che riesci a reggere tutto quello che c'è dietro. Poi la personalità, perché l'arbitro deve innanzitutto convincere i calciatori: l'arbitro più bravo è quello che riesce a farsi accettare anche nell'errore, perché nelle decisioni esatte son capaci tutti... Non devi mai dare l'impressione prima di tutto di aver sbagliato, ma se hai sbagliato veramente devi aver fatto il massimo. Nessuno ti dice ad esempio cosa fare dopo un errore conclamato se hai altri 20 minuti da arbitrare. È importante anche la faccia, se ti vedono impaurito ti distruggono, ed è giusto così".

 

Bisogna far più resistenza ai fischi dei tifosi, alla rabbia dei calciatori o ai giornalisti? Tu cosa temevi di più?

 

"Prepari al massimo una gara, io per ogni partita mi guardavo una cosa come 2/300 clip perché in una frazione di secondo tu devi estrarre dalla tua testa la clip simile e prendere una decisione, episodi simili decisioni uguali; bisogna preparare tutto quello che si può preparare anche se poi c'è anche l'inaspettato. Se hai preparato tutto e pensi di aver fatto il massimo allora non temi nulla".

 

Devo parlarti di Cuadrado, è un po' la tua bestia nera?

 

"La prima volta che ho incontrato Cuadrado avevo all'attivo 25 gare in Serie A, era Fiorentina-Napoli e ovviamente non c'era il Var. Io lo avevo studiato, sapevo che era un calciatore bravissimo, faceva letteralmente sparire la palla. In quella partita l'ho ammonito per simulazione, e avevo ragione. Poi il mio primo grande errore fu proprio con lui. Mi hanno chiesto spesso se Cuadrado fosse scorretto, ovvio che non lo è, ogni calciatore ha solo un obiettivo, vincere. Ci sono dei calciatori che tecnicamente sono difficili da arbitrare, io ho sbagliato con tanti altri giocatori di questo tipo, ma magari non se ne parla...".

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Qual è invece la tua partita simbolo, quella in cui hai proprio arbitrato bene?

 

"Le partite simbolo per un arbitro sono tutte tranne quelle che hai sbagliato. Costruire una partita e portrla a casa bene che sia Samp-verona o Milan-Inter è uguale. Poi devo dire che uscire bene da un big match come può essere Roma-Lazio ti dà grande autostima".

 

Il Var cosa dà all'arbitro?

 

"Dà più tranquillità, io avrei pagato per rivedere il contatto di Cuadrado in Fiorentina-Napoli in cui forse mi stavo giocando tanto. Mi ricordo la prima partita che ho fatto con il Var, era a Bologna, ero già tranquillo perché l'avevo preparata bene, ma con il Var ero proprio sicuro che sarebbe andato tutto bene. Invece l'esperienza ci insegna che nemmeno questo è sufficiente. Se gli arbitri veranno sostituiti dall'intelligenza artificiale? No, perché nel regolamento c'è un passaggio che recita 'Se, a giudizio dell'arbitro...', quindi entra in campo la soggettività".

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"Chiunque è chiamato a prendere decisioni fa un lavoro difficile, ti devi schierare. E il mondo del calcio non è fatto di decisioni bianche o nere, quindi ci sarà sempre della soggettività che renderà sempre un po' piccante la questione".

 

Tu ti sei anche infortunato...

 

"Sì, al tendine d'Achille durante una partita di Serie A. Per un arbitro però l'infortunio più brutto non è quello fisico, ma è sbagliare una gara importante, soprattutto sbagliare su una cosa che hai già sbagliato, quello ti uccide, ti leva tutte le certezze".  

 

Che squadra tifavi da piccolo e quale tifi adesso? Ma gli arbitri possono tifare?

 

"Io penso di sì. Io da piccolo tifavo il Teramo Calcio, andavo anche allo stadio. Ho il ricordo di una partita ad Ascoli, forse '85/'86, in cui c'era Maradona. Son sicuro che un arbitro possa tifare, non credo ci sia niente di male, perché quando poi arrivi in Serie A tifi solo per te stesso. Calciatori? Ce ne sono tanti e ce ne sono stati tanti. Roberto Baggio non vedevo l'ora di arbitrarlo, mi piaceva sia come calciatore che come persona; Totti, o Ibra, che è una persona vera anche nel rapporto con gli arbitri. Oggi per me il calcio è cambiato, faccio fatica ad apprezzarlo perché lo vedo più fisico e c'è meno tecnica. Ci sono poi anche oggi campioni che ti aprono il cuore: Messi, Ronaldo, Mbappé...".

 

Qual è la tua prossima partita, ma nella vita?

 

"All'inizio ti ho parlato delle mie prime due fasi, calciatore e arbitro. Non ti ho detto della terza che è arrivata quando ho smesso a 45 anni, e sono andato a lavorare, oltre che con Prime, anche con Josè Mourinho alla Roma e ho potuto guardare l'altra faccia della medaglia quindi i media, i calciatori, gli allenatori. Questa è una cosa che manca un po' agli arbitri, guardare un po' tutto il contorno, anche dall'altra parte: può aiutare a comprendere le dinamiche di una partita e prendere buone decisioni. Questo mi ha dato la forza per un nuovo progetto, mi piacerebbe essere divulgativo sull'aspetto arbitrale, tecnico ma anche umano, raccontare la parte nascosta dell'arbitro".

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