Defibrillatori cardiaci: cosa sono, come funzionano e quante garanzie danno a giocatori e club?
“Se abbiamo a che fare con una causa non risolvibile, allora la persona che viene curata e dimessa deve essere protetta. Come? Con un defibrillatore automatico impiantabile. Quello classico si mette sotto alla clavicola ed è collegato direttamente al cuore; questo è in grado di dare una scarica elettrica in caso di aritmia che ha causato l’arresto cardiaco. I sistemi più nuovi invece vengono posizionati sotto l’ascella con un catetere che scorre sotto pelle; questi sono la scelta ideale soprattutto per i giovani, ragionando nel medio-lungo termine. Questa seconda tipologia è quella che è stata impiantata ad Eriksen, ad esempio.
Ne esiste però un terzo tipo. Ci sono infatti situazioni intermedie in cui non sappiamo ancora come reagirà il cuore: in questo caso si utilizzano i cosiddetti ‘defibrillatori indossabili’: si tratta di veri e propri giubbottini removibili con elettrodi che registrano l’attività cardiaca e in caso di bisogno lanciano una scarica elettrica dall’esterno. Questo viene utilizzato in quei casi in cui si crede che possano risolversi nell’arco di qualche mese, nelle situazioni transitorie quindi, creando un ponte tra il primo arresto cardiaco e il momento in cui devi decidere se impiantare o meno un defibrillatore. Qualora si scelga questa strada, la persona dovrà stare un po’ di tempo a riposo senza fare attività fisica.
Garanzie? In Italia siamo molto protettivi. La legge italiana, e quindi la Lega Serie A, non permette ai giocatori di entrare in campo con un defibrillatore impiantato, all’estero sì. È comunque una scelta molto ponderata, perché nel caso di un calciatore questo strumento va a limitargli la carriera – almeno nel campionato italiano”.